Cassazione Civile, sez. VI, sent. n. 11634 del 16/6/2020
La Suprema Corte ha affermato che non sussiste pregiudizialità ai sensi dell’art. 295 c.p.c. [1], tra il giudizio proposto in tribunale dal creditore per ottenere il pagamento di una somma in conseguenza di una fideiussione ed il diverso processo instaurato dal debitore, innanzi alla sezione specializzata in materia di impresa dello stesso ufficio giudiziario, per domandare la dichiarazione di nullità della detta garanzia.
MASSIMA DELLA S.C.:
“Secondo il costante orientamento di questa Corte, a cui il Collegio intende dare continuità, l’art. 295 c.p.c. trova applicazione solo in ipotesi di pregiudizialità in senso tecnico-giuridico, atteso che il giudicato non si forma se la pregiudizialità è in senso logico, poichè la statuizione è destinata ad essere travolta da successiva pronuncia eventualmente contrastante ai sensi dell’art. 336 c.p.c., comma 2 (Cass. S.U. n. 14060/2004; Cass. n. 4183/2016; Cass. 27932/2011; da ultimo Cass. 12999/2019). In particolare, con le citate pronunce è stato chiarito che con la pregiudizialità in senso logico si indica il rapporto giuridico dal quale nasce l’effetto dedotto in giudizio o, secondo altra convergente accezione, il fatto costitutivo del diritto fatto valere davanti al giudice (ad esempio: il contratto di compravendita rispetto alla richiesta di pagamento del prezzo della cosa venduta), integrante il “punto pregiudiziale”, mentre la pregiudizialità tecnico-giuridica indica quella fattispecie che, essendo esterna al fatto costitutivo del diritto, ne integra il presupposto o, come anche si afferma, quella situazione che ugualmente rappresenta un presupposto dell’effetto dedotto in giudizio, ma che si distingue, attesa la sua autonomia, dal fatto costitutivo sul quale si fonda l’effetto (ad esempio: la qualità di erede del creditore rispetto alla domanda di pagamento del prezzo oggetto del contratto di compravendita stipulato dal defunto) ed integra la “questione pregiudiziale”. Dunque, la pregiudizialità di cui all’art. 295 c.p.c. citato, ossia intesa in senso tecnico-giuridico, è determinata da una relazione tra rapporti giuridici sostanziali distinti ed autonomi, uno dei quali (pregiudiziale) integra la fattispecie dell’altro (dipendente). Le Sezioni Unite, con la citata sentenza del 2004, hanno, inoltre, precisato che poichè lo scopo perseguito dalla sospensione necessaria è quello di evitare il conflitto di giudicati, l’art. 295 c.p.c. può trovare applicazione solo quando in altro giudizio debba essere decisa, con efficacia di giudicato, una questione pregiudiziale in senso tecnico-giuridico, sussistendo in tal caso il rischio del conflitto di giudicati, e non anche qualora oggetto dell’altra controversia sia una questione pregiudiziale soltanto in senso logico, non configurandosi in questo caso il menzionato rischio. Infatti, nel caso di pregiudizialità in senso logico soccorre la previsione dell’art. 336 c.p.c., comma 2, circa il c.d. effetto espansivo esterno, e cioè circa il propagarsi degli effetti della riforma o della cassazione al di là della sentenza, agli atti ed ai provvedimenti (ivi comprese le sentenze) dipendenti dalla sentenza riformata o cassata. Nel caso di specie, applicando i suesposti principi, il rapporto di pregiudizialità sussiste solo in senso logico, in quanto nell’altro giudizio si controverte sul rapporto giuridico dal quale nasce l’effetto dedotto nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo (fideiussione e dedotta sua nullità rispetto al pagamento del credito derivante dalla stessa fideiussione), e i rapporti giuridici sostanziali oggetto dei due giudizi non sono affatto distinti ed autonomi, nel senso precisato, sicchè non può trovare applicazione la sospensione di cui all’art. 295 c.p.c.”
[1] Art. 295 (Sospensione necessaria) c.p.c.: “[I]. Il giudice dispone che il processo sia sospeso in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa”.
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