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11 Ottobre 2018 In Diritto bancario Tidona, Notizie dalla Corte Bancaria

Notizie dalla Corte – I presupposti e le modalità per procedere all’accertamento dell’insolvenza di una banca

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© Tutti i diritti riservati. Vietata la ripubblicazione cartacea ed in internet senza una espressa autorizzazione scritta. È consentito il link diretto a questo documento.

Tribunale di Treviso, sez. II, sentenza n. 83 del 27/6/2018

 

Sentenza:

Lo stato di liquidazione di una banca impone che l’accertamento dell’insolvenza avvenga secondo una impostazione patrimonialistica, dato che ormai l’impresa ha imboccato la strada verso la propria dissoluzione. Bisogna verificare quindi, in termini di probabilità, secondo il metodo della prognosi postuma, se la liquidazione del patrimonio della banca consente di soddisfare regolarmente tutti i creditori. Tale giudizio è basato sul raffronto prognostico tra attivo e passivo patrimoniale ma tiene conto delle sorti sia quantitative che temporali della liquidazione. Occorre cioè verificare se, al momento della dichiarazione di l.c.a., il processo liquidatorio si prospetti tale da assicurare che i valori del realizzo siano pari ai fabbisogni necessari per estinguere le passività e per fare fronte alle esigenze immediate (passività correnti). Se si considera che lo svolgimento della complessa attività liquidatoria/solutoria concorsuale si risolve nei singoli atti di adempimento, cioè nell’impiego non del patrimonio, ma della liquidità, emerge con evidenza che, per essere in grado di procedere ordinatamente alla soddisfazione dei suoi creditori, la liquidazione della banca deve disporre sia delle risorse che consentono di adempiere alle obbligazioni sia della liquidità sufficiente a soddisfare i corrispondenti crediti – soprattutto prededucibili – in tempi e modi coerenti con le specifiche obbligazioni. L’insolvenza sussiste perciò anche quando manchi la liquidità necessaria per l’espletamento della specifica attività imprenditoriale nella sua fase liquidatoria.

 

Motivazioni:

Svolgimento del processo

Con richiesta ex art. 82 D. L.vo 385/1993 depositata in Cancelleria il 9-1-2018, il P.M. di Treviso ha chiesto al tribunale di dichiarare lo stato di insolvenza di Veneto Banca spa in l.c.a. con sede in Montebelluna.

Si sono costituiti i Commissari Liquidatori di Veneto Banca rimettendosi alle determinazioni del tribunale.

Si sono costituiti inoltre i cessati amministratori di Veneto Banca chiedendo il rigetto della domanda del P.M.

È intervenuto con comparsa ex art. 105 c.p.c. il sig. Al. Ba., socio azionista della banca, associandosi alla richiesta del P.M.

In data 14-3-2018 la Banca d’Italia ha depositato il proprio parere.

Si è svolta una prima udienza in data, 23-3-2018 avanti al giudice relatore, all’esito della quale il giudice, accogliendo un’eccezione formulata dai cessati amministratori cui si sono associati i Commissari Liquidatori, ha dichiarato inammissibile l’intervento del sig. Ba. ed ha concesso alle parti termine per note, rinviando all’udienza del 19-4-2018.

Hanno depositato note i cessati amministratori e i Commissari Liquidatori. All’esito dell’udienza del 19-4-2018 il giudice relatore si è riservato di riferire al Collegio.

Nel parere depositato il 14-3-2018 la Banca d’Italia ripercorre le vicende che hanno preceduto la l.c.a. di Veneto Banca e riferisce, in sintesi, quanto segue.

Nell’ambito dell’attività di vigilanza era stato rilevato come la dotazione patrimoniale della banca avesse risentito negli ultimi anni di vari fattori produttivi di crisi.

A febbraio 2017 Veneto Banca, congiuntamente a Banca Popolare di Vicenza, aveva presentato alla BCE un piano di ristrutturazione quinquennale attraverso un processo di fusione e rilancio commerciale (Piano Tiepolo), per la cui realizzazione le due banche avevano stimato un fabbisogno di capitale complessivo pari a 4,7 miliardi di euro.

Non essendo riuscita a reperire risorse private per il finanziamento del piano, in data 17.3.2017, Veneto Banca (analogamente a BPV) aveva presentato al Ministero dell’Economia e delle Finanze un’istanza per accedere alla misura della ricapitalizzazione precauzionale ex artt. 13 ss. del d.l. 237/2016.

A supporto del Piano Tiepolo, inoltre, le due banche avevano richiesto l’accesso alla garanzia dello stato su nuove emissioni obbligazionarie ex art. 1 del d.l. 237/2016.

All’esito delle analisi svolte dalla BCE e dalla Commissione Europea era emersa una valutazione negativa del Piano Tiepolo e quindi era venuta meno l’ipotesi della ricapitalizzazione precauzionale. La BCE aveva quindi avviato gli accertamenti tesi a verificare se Veneto Banca fosse “in dissesto” o “a rischio di dissesto”, vale a dire se sussistessero le condizioni di cui all’art. 18 par. 1 lettere a) e b) del regolamento UE n. 806/2014 (SRMR), nonché le situazioni indicate nel successivo par. 4, con particolare riferimento alla posizione patrimoniale e di liquidità.

Al termine di tale indagine la BCE aveva dichiarato Veneto Banca “prossima al dissesto”, ritenendo integrato il presupposto di cui al citato art. 18 par. 4 lettera a) SRMR, in relazione alla violazione, da parte dell’intermediario, delle condizioni richieste per il prosieguo dell’attività in modo tale da giustificare la revoca dell’autorizzazione; ciò in base al mancato rispetto dei soli requisiti patrimoniali.

In coerenza con quanto previsto dall’art. 18 SRMR, il Single Resolution Board (SRB), autorità di risoluzione competente, ricevuta la comunicazione della BCE, nella sessione del 23.6.2017, valutate esistenti le condizioni di dissesto – o rischio di dissesto -, coerentemente con le decisioni della BCE, e di cui all’art. 18 par. 1 lettera b) (assenza di misure alternative idonee a superare il dissesto), aveva ritenuto che non sussistesse invece la condizione di cui al par. 1 lettera c) (necessità di un’azione di risoluzione nell’interesse pubblico).

A seguito di tali decisioni era risultato verificato dalle predette Autorità Europee il presupposto normativo per l’avvio della liquidazione coatta amministrativa.

Il Governo italiano, pertanto, in data 25 giugno 2017 approvava il d.l. n. 99 recante “disposizioni urgenti per la liquidazione coatta amministrativa di Banca Popolare di Vicenza spa e di Veneto Banca spa” al fine di disciplinare l’avvio e lo svolgimento della l.c.a. delle due banche coerentemente alla disciplina del TUB, prevedendo la cessione di attività e passività ad una banca individuata all’esito di una procedura selettiva (Intesa Sanpaolo spa – ISP) e l’erogazione di misure di sostegno pubblico all’operazione.

La Banca d’Italia aveva quindi proposto al MEF, nella medesima giornata del 25 giugno 2017, di sottoporre le due banche venete alla procedura di l.c.a. e, contestualmente, di attivare le previsioni del citato d.l. n. 99/2017 volte a disporre:

– la continuazione dell’esercizio dell’impresa (a supporto della complessiva operazione e per il tempo tecnico strettamente necessario all’attuazione delle cessioni previste nel citato d.l. n. 99) (art. 2), la cessione delle aziende bancarie a favore di ISP che, in esito ad una procedura di gara, aveva formulato l’unica offerta vincolante all’acquisto idonea ad assicurare la continuità aziendale e a minimizzare le componenti da lasciare alle due banche da sottoporre a l.c.a, in linea con le finalità del d.l. (art. 3), gli interventi di finanza pubblica necessari per la realizzazione della cessione stessa (art. 4), la cessione dei crediti deteriorati con assistenza finanziaria alla S.G.A. (art. 5);

– le misure di ristoro del Fondo di solidarietà per i piccoli risparmiatori coinvolti nella crisi (art. 6).

Il MEF aveva quindi disposto, con decreto n. 186 del 25.6.2017, l’avvio della l.c.a. e, contestualmente, con diverso decreto, gli interventi e le misure di supporto alla l.c.a. previsti dal citato d.l. 99/2017.

Il 26-6-2017, al termine delle operazioni di presa in consegna delle aziende, i Commissari Liquidatori avevano sottoscritto il contratto di cessione, conformemente all’offerta di ISP nonché alle indicazioni del d.l., del d.m. e delle istruzioni loro impartite dalla Banca d’Italia.

Poiché la dichiarazione di prossimità al dissesto e la l.c.a. integravano i presupposti per la revoca dell’autorizzazione bancaria, la Banca d’Italia aveva infine proposto alla BCE, competente in materia, l’adozione del relativo provvedimento, che veniva effettivamente adottato in data 19/7/2017.

Con riferimento alla situazione determinatasi dopo l’avvio della l.c.a. la Banca d’Italia ha precisato che la due diligence espletata in forza del d.l. 99/2017 sul compendio ceduto da Veneto Banca a ISP ha accertato che il patrimonio netto contabile di Veneto Banca alla data del 25/6/2017 era risultato pari a circa 1,7 miliardi di euro.

Lo sbilancio della cessione delle attività e passività a ISP dava un risultato negativo di circa 2,3 miliardi di euro.

La tesi degli amministratori, mirante a dimostrare l’insussistenza dello stato di insolvenza della banca, si fonda sui seguenti argomenti:

  1. lo stato di dissesto – o di rischio di dissesto – è stato dichiarato solo per il mancato rispetto dei requisiti patrimoniali minimi (c.d. patrimonio di vigilanza) e per l’assenza della ragionevole prospettiva di poterli ripristinare nel prossimo futuro;
  2. la procedura di ricapitalizzazione precauzionale fu avviata con la piena condivisione e supporto del MEF e della Banca d’Italia. La stessa BCE aveva certificato, in data 3-4-2017, la concedibilità della ricapitalizzazione precauzionale per un massimo di 3,104 miliardi di euro (doc. 2 e v. pag. 10-11 della memoria del 16/3/2018). La ricapitalizzazione precauzionale, prevede una forma di sostegno pubblico straordinario (art. 18(4) (d) del regolamento UE 806/2014) sul presupposto che: la banca beneficiaria non si trovi in situazione di dissesto (infatti non è un meccanismo di salvataggio di una banca insolvente), che l’intervento sia temporaneo e alle medesime condizioni che accetterebbe un investitore privato; che vi sia una valutazione della CE sulla compatibilità con gli aiuti di Stato (tale compatibilità prevede anche che si applichi il c.d. burden sharing, ossia che la ricapitalizzazione venga sostenuta in primo luogo da azionisti e obbligazionisti subordinati). È su tale compatibilità (non attestata dalla CE) che l’ipotesi di ricapitalizzazione precauzionale è caduta;
  3. le emissioni di obbligazioni garantite dallo Stato (GGBs) sono state autorizzate il 1.2.17 e il 25.5.17: la concessione della garanzia pubblica è condizionata alla preventiva valutazione positiva della BCE, della Banca d’Italia, della CE, del MEF (ritualmente intervenute, pag. 17 memoria cit.) e presuppone che la banca che ne beneficia rispetti i requisiti patrimoniali previsti dalla normativa bancaria (ma è pacifico che Veneto Banca non li aveva, n.d.r.) o quantomeno disponga di un patrimonio netto positivo (art. 4 co 2 d.l. 237/2016 convertito nella l. 15/2017) e la natura temporanea della situazione di tensione finanziaria (p. 17 memoria cit.); pertanto in data 25-5-17 il MEF aveva accertato che Veneto Banca non era in stato di insolvenza;
  4. la situazione di liquidità si collocava entro i parametri di legge (e quindi non era tale da impedire alla banca di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni); Veneto Banca infatti aveva liquidità per circa 600 milioni di euro, sufficienti ad assicurare per diverse settimane la copertura dei flussi in uscita;
  5. il passaggio da una prospettiva di continuità a una liquidatoria sicuramente ha esercitato un effetto depressivo sui valori patrimoniali di Veneto Banca, ma non tale da ingenerare una situazione di incapienza patrimoniale;
  6. la lettera BCE del 3-4-17 attesta che Veneto Banca aveva fondi propri sufficienti a garantire il rispetto dei coefficienti patrimoniali minimi (p. 18 memoria cit.) e certifica che l’importo complessivo del CETI era pari a 1,3 miliardi di euro, quindi che sicuramente il patrimonio netto non era inferiore a tale ammontare;
  7. la giustificazione della BCE per non autorizzare la ricapitalizzazione precauzionale è data dalla mancanza dei requisiti di patrimonializzazione tale da imporre la revoca dell’autorizzazione a operare come banca; non fa cenno agli altri requisiti (v. art. 17 co 2 d lgs 180/2015), che invece sono sintomatici dell’insolvenza.

Secondo il tribunale le vicende che precedono la messa in liquidazione coatta amministrativa pongono in luce la situazione insostenibile in cui si era venuta a trovare Veneto Banca.

Occorre premettere che le norme per la gestione delle crisi bancarie vigenti nell’ambito dei paesi della Comunità Europea (Direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014 – BRRD e Regolamento UE n. 806/2014 del 15 luglio 2014 sul meccanismo di risoluzione unico e sul Fondo di risoluzione unico – Regolamento SRM) hanno abbandonato il criterio del rimborso pubblico dei creditori di una banca in crisi (bail-out) e imposto obbligatoriamente la condivisione degli oneri da parte di azionisti e creditori della banca (bail-in), cercando così di rafforzare la disciplina del mercato e ridurre il ricorso al denaro dei contribuenti. Il sostegno pubblico rimane in alcuni casi consentito, ma è sottoposto a limiti e condizioni più stringenti.

In base alla nuova disciplina europea una banca in dissesto, in linea di principio, deve essere liquidata con una procedura ordinaria di insolvenza e, solo nei casi in cui sussiste un interesse pubblico, viene sottoposta alla procedura di risoluzione.

La BCE, dopo che la Commissione europea aveva affermato che non sussistevano le condizioni per la ricapitalizzazione precauzionale, ha dichiarato Veneto Banca in dissesto o a rischio di dissesto poiché la banca aveva ripetutamente violato (a partire dal 2014) i requisiti patrimoniali di vigilanza, e, nonostante il tempo concesso dalla BCE per la presentazione di adeguati piani di ricapitalizzazione, non era stata in grado di offrire soluzioni credibili per il futuro (v. la delibera della BCE allegata alla nota della Banca d’Italia del 14/3/2018).

Il SRB (Single Resolution Board, in italiano CRU = Comitato Unico di Risoluzione), non ha ritenuto che l’interesse pubblico giustificasse l’avvio di un’azione di risoluzione per la banca, che pertanto è stata sottoposta a liquidazione in base alle procedure di insolvenza italiane con il decreto legge n. 99 del 25 giugno 2017, con il quale sono stati anche disciplinati gli interventi dello Stato. Il d.l. 99/2017 prevede che i commissari liquidatori provvederanno alla cessione di attività e passività aziendali, compreso il trasferimento dei dipendenti, a Intesa Sanpaolo, che subentra nei rapporti delle cedenti con la clientela senza soluzione di continuità. È previsto inoltre il trasferimento dei crediti deteriorati delle banche esclusi dalla cessione a una società a partecipazione pubblica (SGA). I diritti degli azionisti e le passività subordinate restano in capo alle liquidazioni. L’intervento assicura la tutela di tutti i risparmiatori e dei creditori senior e prevede che il credito dello Stato per il recupero degli esborsi erogati per cassa o per l’escussione delle garanzie concesse a ISP ha precedenza rispetto a quello degli altri creditori della liquidazione, eccettuati i crediti prededucibili. Il decreto legge prevede inoltre misure di ristoro per i titolari di strumenti finanziari subordinati.

Il 26 giugno 2017 la Banca d’Italia ha annunciato la cessione a Banca Intesa Sanpaolo di Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza, entrambe in l.c.a., per il valore complessivo di 1 euro.

Nel periodo che precede la l.c.a. quindi:

1) Veneto Banca non era in grado di continuare a svolgere la propria attività creditizia senza dover ricorrere a richieste di sostegno da parte dello Stato, sia in termini di nuovo capitale che di garanzie su nuove obbligazioni da emettere;

2) la ricapitalizzazione precauzionale, come correttamente evidenziato dagli stessi amministratori, avrebbe implicato necessariamente l’applicazione della procedura di burden sharing, che sacrifica i diritti dei portatori di obbligazioni subordinate, ossia di creditori, che non vengono pagati in quanto obbligati a convertire il proprio credito in capitale;

3) la richiesta di intervento dello Stato ex art. 13 (ricapitalizzazione precauzionale) e art. 1 (per le nuove emissioni di obbligazioni) del d.l. 237/2016 conferma la gravità dello stato di crisi, poiché tali norme si applicano per “evitare o porre rimedio a una grave perturbazione dell’economia e preservare la stabilità finanziaria” (art. 1 del citato d.l.);

4) a pag. 4 del suo parere la Banca d’Italia riferisce che la BCE ha riconosciuto sussistenti i presupposti di cui all’art. 18 par. 1 lett. b) del regolamento UE n. 806/2014 (SRMR), ossia la “assenza di misure alternative idonee a superare il dissesto”, pertanto deve ritenersi che il “dissesto” assumeva, alla vigilia della messa in liquidazione coatta, i caratteri di gravità, pericolosità e irreversibilità.

La situazione di Veneto Banca, così ricostruita, presenta indubbi margini d’incertezza quanto al requisito dell’insolvenza, ma è la situazione che si presenta prima del decreto che dispone la l.c.a., e che vale fino alla data del 23.6.2017. In tale data interviene un evento, la dichiarazione di prossimità al dissesto, con la conseguente verifica da parte delle Autorità del presupposto normativo per l’avvio della liquidazione coatta amministrativa, che muta significativamente la situazione della banca. Seguiranno in data 25.6.2017 l’approvazione da parte del Governo Italiano del d.l. n. 99/2017 recante “disposizioni urgenti per la liquidazione coatta amministrativa di Banca Popolare di Vicenza spa e di Veneto Banca spa”, poi convertito senza modificazioni di rilievo nella L. 121/2017 e il decreto con cui Veneto Banca viene posta in liquidazione coatta amministrativa.

La messa in liquidazione coatta amministrativa di Veneto Banca segna il passaggio della debitrice da una situazione di continuità ad una situazione liquidatoria e impone quindi un diverso approccio in base al quale verificare la sussistenza o meno dello stato di insolvenza.

Non sono più utilizzabili i criteri valutativi che fino a quel momento avevano indotto le Autorità a prendere in esame le ipotesi di risanamento prospettate dalla debitrice.

È pacifico infatti che l’accertamento dello stato di insolvenza di una banca sottoposta a l.c.a. deve essere compiuto con riferimento alla data del decreto che dispone la liquidazione (art. 82, co. 2, TUB e art. 202 L. Fall., Cass. 20186/2017, 9408/2006) e applicando i criteri previsti dall’art. 5 L. Fall., posto che questa norma ha carattere “universale” ed è valida anche per le crisi bancarie (Cass. 9408/2006).

Tale accertamento prescinde dalle cause, giacché l’insolvenza potrebbe prodursi quale effetto anche di un solo singolo fattore sopravvenuto e indipendente dalla condotta degli amministratori (v. Cass. 9523/2012, 15769/2004, 8374/2000). Nel caso di specie il fattore sopravvenuto è costituito dalla dichiarazione di dissesto o di prossimità al dissesto, che sfocerà nella l.c.a.

È bene precisare che l’insolvenza è di solito l’espressione, o meglio l’esito, di una inadeguata organizzazione dell’impresa, caratterizzata da una disfunzione della complessiva organizzazione del finanziamento, poiché l’incapacità a svolgere una regolare attività solutoria, anche nella fase liquidatoria, non può che riferirsi all’intera organizzazione dell’impresa, oggettivamente considerata.

Lo stato di liquidazione impone che l’accertamento dell’insolvenza avvenga secondo una impostazione patrimonialistica (Cass. 12382/2017, 16752/2013, 6170/2003, 6550/2001), dato che ormai l’impresa ha imboccato la strada verso la propria dissoluzione. Bisogna verificare quindi, in termini di probabilità, secondo il metodo della prognosi postuma, se la liquidazione del patrimonio della banca consente di soddisfare regolarmente tutti i creditori. Tale giudizio è basato sul raffronto prognostico tra attivo e passivo patrimoniale ma tiene conto delle sorti sia quantitative che temporali della liquidazione. Occorre cioè verificare se, al momento della dichiarazione di l.c.a., il processo liquidatorio si prospetti tale da assicurare che i valori del realizzo siano pari ai fabbisogni necessari per estinguere le passività e per fare fronte alle esigenze immediate (passività correnti).

Se si considera che lo svolgimento della complessa attività liquidatoria/solutoria concorsuale si risolve nei singoli atti di adempimento, cioè nell’impiego non del patrimonio, ma della liquidità, emerge con evidenza che, per essere in grado di procedere ordinatamente alla soddisfazione dei suoi creditori, la liquidazione della banca deve disporre sia delle risorse che consentono di adempiere alle obbligazioni sia della liquidità sufficiente a soddisfare i corrispondenti crediti – soprattutto prededucibili – in tempi e modi coerenti con le specifiche obbligazioni.

L’insolvenza sussiste perciò anche quando manchi la liquidità necessaria per l’espletamento della specifica attività imprenditoriale nella sua fase liquidatoria.

Non è perciò decisiva la circostanza che il bilancio alla data del 25/6/2017 allegato alla memoria depositata il 13/3/2018 dei commissari liquidatori, riporti un patrimonio netto di E 1.665,8 milioni, posto che, come osservano gli stessi commissari, tale bilancio è redatto secondo criteri contabili ispirati alla continuità aziendale. E pertanto la prevalenza dell’attivo sul passivo alla data di apertura della l.c.a. non è determinante (Cass. 12382/2017, 5736/1993, 5525/1992, 4450/1992) perché tale criterio deve essere utilizzato congiuntamente ad un giudizio finanziario prognostico sul fatto che l’attivo potrebbe essere non liquidabile nell’immediato, oppure che il passivo connesso alla liquidazione potrebbe lievitare, determinando ad es. la necessità di cedere in blocco i crediti, o una parte di essi, per fare fronte alle passività correnti (ad es. nel caso di specie le spese per la gestione del recupero crediti, per i dipendenti, per le locazioni, per le utenze, ecc.).

La verifica dello stato di insolvenza va fatta sulla base di uno scenario di liquidazione atomistica, dato che la retrodatazione del momento di valutazione al tempo in cui è stata disposta la l.c.a. rende irrilevante che l’impresa possa avere riacquistato la propria solvibilità dopo l’apertura del procedimento, sicché non si tiene conto delle vicende successive a tale provvedimento (Cass. 9408/2006, Trib. Palermo 20.2.1999, Trib. Potenza 13.7.2000, Trib. Milano 27.12.1985). Occorre considerare infatti che gli interventi dello Stato -a sostegno della liquidazione potrebbero avere le modalità più svariate, non esclusa quella di ristrutturare il passivo con uno stralcio del debito.

Le modalità attraverso le quali l’Autorità pubblica intende limitare i danni sistemici derivanti dalla crisi di una particolare impresa non incidono, quindi, sulla valutazione di insolvenza. Se l’estinzione di tutti i debiti nel corso della procedura avvenisse in forza dell’aiuto dello stato, che ad es. rimuovesse l’incapacità finanziaria della liquidazione a far fronte alle passività correnti che dovessero generarsi, non per questo potrebbe dirsi insussistente lo stato di insolvenza.

La “liquidazione ordinata” di cui al d.l. 99/2017, che prevede un consistente intervento statale connesso all’operazione ISP/S.G.A., non è, quindi, un’attività “normale” (ex art. 5 L. Fall.) per far fronte alle obbligazioni, poiché rappresenta un (condivisibile) intervento straordinario nell’interesse della collettività, ma non un prevedibile e naturale epilogo della liquidazione.

L’attivo e il passivo di Veneto Banca devono pertanto essere valutati secondo una visione prospettica e sulla base di un’ipotesi di liquidazione atomistica, in base ai valori che possono ottenersi da un immediato realizzo, non già ai valori attribuiti dall’imprenditore stesso e neppure in base a quelli che potrebbero presumibilmente attendersi da vendite o da altre attività liquidatorie (quali ad es. l’incasso di crediti) effettuate senza vincoli temporali.

Come rilevano i Commissari nelle note autorizzate del 16.4.2018, la voce più consistente dell’attivo di Veneto Banca è costituita da crediti verso clientela (pag. 5) e i principi contabili ispirati alla continuità aziendale e ad un approccio di gestione delle attività di recupero dei crediti, in generale e segnatamente di quelli deteriorati, sono diversi da quelli che si applicano in una valutazione di tipo liquidatorio, necessariamente basati su operazioni massive di cessione dei crediti sul mercato (pagg. 2-3).

Come chiarisce la Banca d’Italia nelle “Informazioni sulla soluzione della crisi di Veneto Banca spa e Banca Popolare di Vicenza spa, memoria per la VI Commissione Finanze della Camera dei Deputati ” (pag. 4, v. a pagg. 93 ss. fascicolo del PM e v. anche Barbagallo, pag. 14 della Relazione al Senato del 2/11/2017, pagg. 414 ss. fasc. PM), l’approccio “paziente”, che può essere adottato in una “liquidazione ordinata” – e che sarà adottato da S.G.A. -, produce risultati molto migliori di quelli che potrebbero essere ottenuti con le modalità praticabili in una liquidazione atomistica.

Gli esiti di una liquidazione atomistica di Veneto Banca sono pronosticati in termini estremamente negativi dai tecnici che si sono occupati della crisi dell’istituto.

Nella memoria della Banca d’Italia del luglio 2017 per la VI Commissione Finanze della Camera dei Deputati “Informazioni sulla soluzione della crisi di Veneto Banca spa e Banca Popolare di Vicenza spa” si legge quanto segue (con sottolineature di chi scrive):

Il governo italiano ha deciso di affiancare un aiuto di Stato alla procedura di liquidazione coatta. Tale scelta è risultata indispensabile per individuare un acquirente e preservare per questa via la continuità operativa delle due aziende, che sarebbe venuta meno in caso di liquidazione “atomistica “. Caduta l’ipotesi della ricapitalizzazione precauzionale, quest’ultima sarebbe stata l’unica alternativa alla scelta effettuata; avrebbe comportato costi molto elevati per tutti gli attori coinvolti.

Circa centomila piccole e medie imprese e circa duecentomila famiglie sarebbero state costrette a restituire per intero i crediti (circa 26 miliardi); ne sarebbero con tutta probabilità derivate diffuse insolvenze. La conseguente distruzione di valore si sarebbe scaricata sui detentori di passività.

I depositanti non protetti dalla garanzia, insieme con gli obbligazionisti senior, avrebbero dovuto attendere i tempi della liquidazione (vari anni) per ottenere il rimborso (circa 20 miliardi). Il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (FITD) avrebbe dovuto far fronte a un esborso immediato per circa 10 miliardi, e a rivalersi sulla liquidazione negli anni successivi. Data l’incapienza delle risorse prontamente disponibili presso il FITD, il sistema bancario avrebbe dovuto farsi carico di gran parte delle somme necessarie al rimborso dei depositanti in tempi estremamente ristretti. Lo Stato sarebbe stato chiamato all’immediata escussione della garanzia sulle passività emesse dalle due banche per un importo di circa 8,6 miliardi.

Nel complesso, con la procedura adottata è stata preservata la continuità dei rapporti di clientela esistenti, sono state evitate gravi ricadute della crisi sul tessuto economico di insediamento delle due banche, attenuati gli effetti sulla compagine dei dipendenti, minimizzato il costo complessivo di soluzione della crisi.

L’unico scenario liquidatorio alternativo all’intervento di Stato, cioè la liquidazione atomistica, in altri termini avrebbe comportato esiti catastrofici per i creditori chirografari.

Tale valutazione è ribadita dal Governo nel D.L. n. 99 recante “disposizioni urgenti per la liquidazione coatta amministrativa di Banca popolare di Vicenza spa e di Veneto Banca spa”, dove si legge che in assenza dell’intervento dello Stato la sottoposizione di Veneto Banca a liquidazione coatta amministrativa avrebbe comportato “la distruzione di valore delle aziende bancarie coinvolte, con conseguenti gravi perdite per i creditori non professionali chirografari, che non sono protetti né preferiti ” e avrebbe imposto “una improvvisa cessazione dei rapporti di affidamento creditizio per imprese e famiglie, con conseguenti forti ripercussioni negative sul tessuto produttivo e di carattere sociale, nonché occupazionali” (citata anche a pag. 5 del parere della Banca d’Italia del 14/3/2018, v. di seguito).

Nel parere sulla dichiarazione giudiziale dello stato di insolvenza depositato nel presente procedimento in data 14/3/2018 la Banca d’Italia ribadisce (a pag. 7) tali valutazioni, affermando che in assenza di una controparte disposta ad acquisire attività e passività aziendali e senza le richiamate misure pubbliche di sostegno richieste dalla cessionaria (Banca Intesa Sanpaolo) quale condizione per la realizzazione dell’operazione, la sottoposizione di Veneto Banca a liquidazione coatta amministrativa (c.d. “liquidazione atomistica”) avrebbe determinato la distruzione di valore dell’azienda bancaria, – con gravi conseguenze per i creditori non protetti delle banche e forti ripercussioni negative sul tessuto produttivo e sociale, nonché occupazionali.

Sarebbe stato necessario bloccare le disponibilità dei depositanti, salvo il rimborso dei depositi fino a 100.000 a carico del Fondo Interbancario di Tutela del Depositi (FITD), e interrompere improvvisamente i rapporti di affidamento creditizio per imprese e famiglie.

Si sarebbe determinata, inoltre, l’attivazione delle garanzie pubbliche che assistevano all’avvio della l. c. a. una quota rilevante delle passività aziendali non subordinate (pari à circa 4,355 mld di euro; ulteriori 546 mln di euro di garanzie già rilasciate dallo Stato non erano state utilizzate).

In sostanza, nel momento in cui Veneto Banca venne posta in liquidazione coatta amministrativa, la prognosi della liquidazione atomistica portava a conclusioni disastrose per i creditori chirografari. Essi non, avrebbero avuto la minima possibilità di ricevere integrale soddisfazione.

Va in proposito richiamato il principio secondo cui “gli accertamenti eseguiti dalla Banca d’Italia e dai commissari straordinari, per la qualità degli organi dai quali provengono e per la specificità dei dati evidenziati, sono connotati da un pregnante grado di attendibilità e ben possono essere utilizzati ai fini della decisione senza la necessità di accertamenti ulteriori” (Trib. Sciacca 16.2.2016, TAR Lazio, 20/3/1996 n. 429, Cons. Stato 28/10/1980 n. 1008, Trib. Potenza 13/7/2000). Peraltro i dati contabili e le valutazioni espresse da Banca d’Italia e dagli organi della l.c.a. non sono stati contestati dalla debitrice. Per giunta sarebbe stato onere della stessa dare la prova della proprietà di beni o di attività o disponibilità finanziarie sufficienti per soddisfare i propri crediti (Cass. 16752/2013, 25167/2016), a maggior ragione a fronte della prospettazione di esiti catastrofici della liquidazione atomistica e della valutazione in termini di certezza che la liquidazione non disporrà di risorse sufficienti a soddisfare le pretese dei creditori subordinati.

Le valutazioni sull’insolvenza non mutano, nella sostanza, qualora lo scenario venga esaminato tenendo conto dell’intervento dello Stato e ciò rafforza la prognosi infausta formulata nell’ipotesi di liquidazione atomistica.

Il Governo, a fronte della dichiarazione di “dissesto o rischio di dissesto”, ha scelto di attuare una liquidazione supportata da interventi statali, con esclusione del piano. di risoluzione ex artt. 7 ss. d. lgs. 180/2015 (c.d. bail in), che prevede il coinvolgimento dei depositanti per somme eccedenti quella massima garantita di. 100.000,00 euro.

Come riferisce Banca d’Italia a pag. 5 del suo “Parere sulla dichiarazione giudiziale dello stato di insolvenza ” il programma di liquidazione elaborato dal Governo – e proposto dalla stessa Banca d’Italia – rappresenta una scelta molto più conveniente per i creditori rispetto alla liquidazione atomistica.

La valutazione sull’insolvenza tuttavia non è diversa, se non quantitativamente (come entità dello sbilancio patrimoniale), se si considerano gli esiti liquidatori che verosimilmente si verificheranno a seguito dell’intervento dello Stato.

Neppure la “liquidazione ordinata”, infatti, dà certezze sul pagamento integrale dei creditori chirografari. Le modalità liquidatorie scelte dal Governo implicitamente già prevedono che non saranno soddisfatti i detentori di obbligazioni subordinate, – che sono creditori a tutti gli effetti ai fini dell’accertamento dello stato di insolvenza – posto che per essi il d.l. 99/2017 ha previsto un meccanismo di ristoro (accesso al fondo di solidarietà) esterno alla liquidazione.

Anche la collocazione in super-privilegio, ex art. 4 comma, 2 del d.l. 99/2017, del credito che lo Stato acquisisce verso la l.c.a. in forza dei propri interventi di sostegno ha l’evidente finalità di garantire un’adeguata tutela di quel credito in caso di insolvenza, ritenuta evidentemente molto probabile, della debitrice.

Va precisato che l’intervento dello Stato a sostegno della liquidazione, ai fini che qui interessano, va considerato e valutato nella sua totalità, senza cioè che si possano scomputare i versamenti effettuati direttamente a Banca Intesa ex art. 4 co. 1 del d.l. 99/2017 per complessivi 2.324,3 milioni di euro, posto che tale intervento di sostegno (apparente) a Banca Intesa era una delle condizioni per addivenire alla cessione dell’azienda. Pertanto prescindere da tale intervento significherebbe ritornare nell’ambito della prospettiva della liquidazione atomistica.

I Commissari nella relazione del 16.4.2018 (a pag. 2) hanno inserito un prospetto, che di seguito si riporta, che reca i valori della liquidazione determinati considerando l’intervento dello Stato.

Tavola 3 – Rilevazione degli interventi dello Stato e delle DTA “convenzionali” Rilevazione degli interventi dello Stato e delle DTA “convenzionali”

– omissis –

È agevole constatare che in questo scenario la liquidazione si chiude con una passività (patrimonio netto post interventi dello Stato e DTA) di 538,5 milioni di euro, e quindi con una evidentissima. e rilevante mancanza di liquidità da destinare alla soddisfazione dei creditori chirografari.

In conclusione nello scenario della liquidazione atomistica l’insufficienza del patrimonio a soddisfare i creditori è praticamente certa, ma anche nello scenario della “liquidazione ordinata”, è altamente probabile che l’attivo ricavato dalla liquidazione risulterà insufficiente a soddisfare l’intero ceto creditorio. La misura di insoddisfazione dei crediti è di 538,5 milioni di euro nella ipotesi di “liquidazione ordinata” ed è quindi molto più elevata nell’ipotesi di liquidazione atomistica.

E posto che lo scenario che qui rileva è quello della liquidazione atomistica va senz’altro dichiarato lo stato di insolvenza di Veneto Banca spa in liquidazione coatta amministrativa.

Va altresì confermata la inammissibilità dell’intervento del sig. Al. Ba., che non è titolare di un interesse giuridicamente tutelato, bensì di mero fatto, a proporre domande nel presente giudizio.

I commissari liquidatori non hanno chiesto la condanna degli amministratori alle spese, che vanno comunque compensate data la novità e complessità della questione.

P.Q.M.

il Tribunale di Treviso, definitivamente pronunciando, dichiara

– l’inammissibilità dell’intervento di Al. Ba.,

– l’insolvenza di Veneto Banca spa in liquidazione coatta amministrativa,

– compensa le spese.

Treviso, 26/6/2018

Depositata in cancelleria il 27/06/2018.

 



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