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26 Maggio 2003 In Diritto bancario

Nuovo accordo di Basilea 2. La produzione del rating: nuovi scenari

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Di Antonio Piccolo
26 maggio 2003

Con il termine Nuovo Accordo di Basilea o Basilea 2 viene indicata l’ultima proposta formulata dal Comitato di Basilea al fine di introdurre una moderna normativa concernente l’adeguatezza patrimoniale delle imprese bancarie e creditizie.

Il Comitato di Basilea è un organismo creato nel 1974 dai Governatori delle Banche Centrali appartenenti al Gruppo dei 10, operante in seno alla Banca dei Regolamenti Internazionali con sede, appunto, a Basilea. Il Comitato non legifera, formula linee guida, ma le sue proposte sono accettate come normativa vincolante in oltre 100 paesi. La sua attività ha come scopo di rendere sempre più efficace la regolamentazione di vigilanza bancaria ed estenderla a tutte le istituzioni bancarie del maggior numero possibile di paesi.

La proposta contenuta nel Nuovo Accordo di Basilea riveste particolare interesse in quanto le nuove regole in materia di calcolo dei requisiti minimi di capitale introducono correlazioni al rischio di credito e modalità di calcolo dello stesso che avranno notevoli implicazioni per le imprese, soprattutto le piccole.

Il documento rilasciato a gennaio 2001 proponeva, dopo un periodo di consultazione terminato a maggio, di rendere definitiva la proposta a fine 2001 per una sua completa implementazione attesa nel 2004, ma le prese di posizione da parte di numerose associazioni di categoria e grandi banche hanno convinto il comitato a una proroga e al rilascio di un nuovo documento, atteso per quest’anno e la cui attuazione è quindi prevista per il 2006.

ACCORDO DEL 1988

Nel 1988 il Comitato propone un sistema di misurazione dell’adeguatezza patrimoniale delle spese bancarie e creditizie: l’Accordo di Basilea (Basel Capital Accord).

Tale impianto normativo sancisce il ruolo del capitale nella sua funzione fondamentale di copertura dei rischi assunti: ogni attività posta in essere da un’impresa finanziaria comporta l’assunzione di un certo grado di rischio (oggi convenzionalmente distinto tra rischio di credito e rischio di mercato), e questo deve essere quantificato e supportato dal capitale (il “capitale di vigilanza”). Con la definizione di “adeguatezza patrimoniale” si intende pertanto che il patrimonio deve essere adeguato ai rischi assunti.

ACCORDO DEL 1999

Tre sono le principali novità della nuova proposta:

I° pilastro

Riguarda il sistema di misurazione del rischio, che è interessato da due cambiamenti di ampia portata.

1. ampliamento delle categorie di rischi da calcolare: si deve infatti determinare l’impatto dei rischi operativi oltre a quelli di mercato di credito;
2. cambiamento nella misurazione dei rischi di credito. Il Comitato propone uno schema in grado di differenziare le posizioni in base al reale rischio, al fine di superare le semplificazioni dell’impostazione corrente.

Per far ciò la strada indicata è il rating. A differenti categorie di rating corrisponde un diverso rischio e quindi un diverso requisito in termini di capitare da allocare. Le imprese finanziarie dovranno adottare nuovi e più analitici sistemi per la misurazione del rischio, al fine di meglio cogliere le reale esposizione nel suo insieme.

Per quanto riguarda il rischio di credito, il Nuovo Accordo introduce la possibilità di scelta fra una pluralità di metodologie di calcolo dei requisiti patrimoniali, che potrà essere realizzato secondo due metodi:

– un metodo standard, (Standardised Approach) basato sull’utilizzo di rating esterni forniti dalle agenzie specializzate;
– un metodo più sofisticato, che permette di correlare meglio il capitale regolamentare al rischio effettivo (International Rating Based Approach); esso si suddivide a sua volta in una metodologia di base (Foundation Approach, con il quale alle banche è concesso di stimare esclusivamente la Probabilità of Default o PD, ovvero la probabilità di insolvenza del mutuatario) ed una metodologia avanzata (Advanced Approach), che poggia sulla stima di sue ulteriori componenti di rischio, ovvero la perdita in caso di insolvenza del mutuatario (Loss Given Default o LDG) e l’entità dell’esposizione al momento dell’insolvenza (Expected At Default o EAD).

L’implementazione del rating esterno e interno rappresenta l’aspetto critico che avrà ripercussione sull’attività creditizia delle banche verso le imprese, soprattutto le piccole.

II° pilastro

Cambia l’approccio previsto per la vigilanza. In sintesi si può dire che anche l’attività di vigilanza – svolta in Italia dalla Banca d’Italia – si evolve profondamente. Per esempio, nell’attività di vigilanza le autorità di basassero tra l’altro sulla loro conoscenza in materia di prassi di mercato, pertanto i soggetti di regolamentazione dovranno lavorare nella costante conoscenza di quanto stia accadendo nel mercato.

III° pilastro

No ultimi, i cambiamento nella disclosure di bilancio; una serie di indicazioni circa la comunicazione da fornire a terzi, concernente le aree di rischio e le modalità di presidio.

LA VALUTAZIONE DEL MERITO DI CREDITO

Le informazioni rilevanti ai fini della valutazione del rischio di credito devono essere organizzate dalle banche in termini di giudizi omogenei e confrontabili, ossia in termini di rating esterno, di rating interno piuttosto che di punteggi di scoring.

I punteggi di rating esterno offrono un giudizio ordinale sul merito creditizio del singolo cliente mettendone in luce, secondo una scala predefinita, il grado di rischiosità per la banca (Probabilità of Default), relativamente ad un arco temporale di riferimento. Tali punteggi sono costruiti su una base informativa molto ampia che tiene conto delle informazioni recuperabili in modo oggettivo e trasversale sull’intero portafoglio crediti. La valenza esterna è quindi legata non tanto alla loro caratteristica distintiva di formulazione, ossia di indipendenza rispetto ad un giudizio mediato ed espresso da un valutatore.

I punteggi di rating interno offrono anch’essi un giudizio ordinale sul merito creditizio del singolo cliente. Tuttavia essi scaturiscono dall’integrazione dei punteggi di rating esterno con il giudizio del valutatore della banca, che trae le informazioni dal fatto di essere a diretto contatto con l’impresa.
Affinché il rating interno sia efficace è necessario definire proceduralmente quali e quante informazioni reperibili dal valutatore debbano essere utilizzate per arrivare alla formulazione del punteggio nonché i loro pesi. In questo ambito assume importanza ad esempio la valutazione delle garanzie e il loro valore atteso di recupero piuttosto che i dati mandamentali.

I punteggi si scoring offrono un giudizio sullo stato di salute “buono o cattivo” del cliente secondo un procedimento a base esclusivamente statistica che tiene conto dell’informativa andamentale e di una parte di quella fondamentale. I punteggi di scoring assumono rilievo ed efficacia soprattutto per la clientela di ridotte dimensioni, il cui comportamento può essere interpretato alla luce di poche variabili.

L’impiego del rating sotto il profilo operativo, comporterà per le banche una riorganizzazione dei processi creditizi secondo una logica complessiva di valorizzazione delle relazioni di clientela.

Le banche stanno compiendo uno sforzo progettuale per posizionare le informazioni appropriate al processo creditizio ritenuto più efficace per il gruppo di clientela da valutare. Ciò significa mettere a fuoco un concetto di segmentazione della clientela e di differenziazione dei processi di valutazione rispetto alla tipologia di cliente.

Le banche tendenzialmente identificano tre segmenti rilavanti di clientela:

– clientela orientata alle relazioni (clientela corporate), ovvero la clientela con cui instaurare una relazione di medio periodo;
– clientela orientata alle transazioni (clientela retail), ovvero la parte di clientela che non rientra, per scelta della banca o per scelta della clientela stessa, fra i destinatari di politiche di relazioni privilegiate. Questa parte di clientela. Che numericamente costituisce la parte più rilevante, è contraddistinta soprattutto da aziende di piccole e medie dimensioni;
– clientela di dimensioni marginali (clientela small business), vale a dire i soggetti per i quali l’impegno finanziario della banca è limitato e di cui sono scarse le informazioni sulla struttura economica e finanziaria.

In corrispondenza a questi tre segmenti è possibile identificare un utilizzo differenziato delle informazioni ed un’organizzazione differente dei processi di valutazione.

La clientela corporate deve essere sottoposta ad un giudizio di rating esterno che ne valuti costantemente la qualità creditizia (consentendo quindi un monitoraggio anche a livello di portafoglio complessivo della banca) integrato e completato dalle valutazioni dell’analista attraverso il rating interno, che diviene l’output vincolante delle decisioni in materia creditizia.

La clientela retail deve essere valutata attraverso un processo efficiente che consenta alla banca di assumere le scelte migliori riducendo l’impiego di risorse umane e di tempo. Anche in questo caso lo strumento è rappresentato dal giudizio di rating esterno integrato con i giudizi e le valutazioni dell’analista e con le caratteristiche delle garanzie per giungere alla formulazione del rating interno. La differenza rispetto alla clientela corporate non è dunque nella tipologia formale di giudizio, ma piuttosto nel tipo di canale utilizzato (la filiale), nei ruoli organizzativi coinvolti (il direttore di filiale e non il client manager) e nella caratteristica dei prodotti commercializzati (in prevalenza creditizi).

La clientela small business deve essere valutata massiminizzando l’efficienza del processo di affidamento, tenuto conto della carenza di informazioni e della difficoltà ad effettuare un’analisi di fido completa. In questo caso è necessario ricorrere ad un punteggio automatico di scoring che rappresenti un’indicazione vincolante per il decisore.

ASPETTI CRITICI DELLA PRODUZIONE DEL RATING INTERNO

Con riferimento alla realizzazione del rating interno, vi sono due problemi di ordine metodologico ed applicativo: quali informazioni devono entrare nel processo di valutazione e quale peso ogni singola informazione deve avere in termini di capacità di modificare il rating esterno.

La produzione del rating interno tiene infatti conto di due grandi aree di informazione non codificate all’interno del rating esterno: l’area delle informazioni qualitative e riservate e l’area delle informazioni sulle garanzie.

Con riferimento al gruppo delle informazioni qualitative, le aree che l’analista deve valutare devono essere riferiti agli “impact factor credit risk” ossia a quelle aree aziendali che possono significativamente modificare il profilo di solvibilità dell’impresa affidata. Questa possono essere riferite all’assetto proprietario e di gestione dell’impresa, all’assetto partecipativo per le strutture a gruppo, ai fattori di rischio e alle caratteristiche dell’ambiente competitivo.

I fattori evidenziati non devono costituire un giudizio sulla qualità dell’impresa, bensì sull’influenza che tali fattori possono avere sulla capacità dell’impresa di onorare il proprio impegno con riferimento all’arco di tempo utilizzato nell’attribuzione del rating esterno, tenuto conto della durata dell’impegno per la banca.

I fattori correttivi individuabili in quest’area informativa sono infatti “mediani”, nel senso che possono agire sia in termini migliorativi che peggiorativi. L’analista deve essere in grado di valutare se una caratteristica individuata incida effettivamente e concretamente sulla solvibilità prospettica a n mesi dell’azienda, attraverso il supporto di informazioni sulla situazione del settore piuttosto che sulle strategie dell’impresa.

La seconda area informativa per produrre il rating interno è rappresentata dall’analisi sulle garanzie personali o reali riferibili alle singole operazioni con l’affidato.

La sequenza complessiva del processo produttivo di valutazione del rischio creditizio procede dall’assegnazione di un rating esterno per il cliente, ad un rating interno per il cliente neutrale rispetto alle garanzie, per giungere ad un rating interno per operazione, comprensivo delle garanzie. Ciò significa che a fronte di un unico rating – esterno o interno – per cliente, devono sussistere n rating interni in funzione del numero delle operazioni creditizie effettuate.

Con riferimento alla categoria delle garanzie, il grado di copertura sostanziale dell’esposizione creditizia deve essere rivolto alla determinazione del valore effettivo recuperabile dalle garanzie medesime.

Ciò richiede la stima di:

– tempo medio e capacità di recupero medio della garanzia, ossia il grado di escutibilità;
– valore di mercato della garanzia, ossia il grado di copertura effettiva rispetto all’esposizione creditizia.

Tale valutazione appare necessaria in quanto il valore utile della garanzia per un finanziatore è costituito dal flusso di cassa ottenibile dalla garanzia medesima ovvero dal suo valore di mercato, “scontato” per il tempo di recupero e per la capacità di recupero della banca stessa.

Questo valore, che rappresenta la reale copertura per il finanziatore in caso di insolvenza del cliente, risulterà tendenzialmente differente da banca a banca, sia sotto il profilo dei valori che delle categorie di garanzia osservate.

Da un lato infatti la valutazione risente della capacità media di recupero della tipologia di garanzia in oggetto da parte della banca (stima basata su dati storici disponibili all’interno della banca).

Dall’altro la valutazione deve ovviamente essere differenziata in relazione al tipo di garanzia (personale o reale), al tipo di impegno giuridico (pegno, ipoteca), al tipo e alla qualità di bene nel caso di garanzia reale (titolo, merci articolata per tipologia effettiva, immobili), alla metodologia di recupero (cessione piuttosto che recupero diretto, giudiziario e stragiudiziale).

L’Accordo di Basilea, infine, prevede requisiti espliciti per le garanzie.

Riguardo alla copertura, essa deve essere:

– diretta, ovvero un diritto immediatamente esercitatile nei confronti del garante;
– esplicita, ovvero legata ad una esposizione specifica;
– irrevocabile quindi con assenza di clausole contrattuali che consentano al garante di annullare la copertura;
– incondizionata cioè senza clausole che consentano al garante di non pagare tempestivamente nel caso di inadempienza del debitore.

Sono fissati poi alcuni requisiti operativi: all’atto dell’inadempienza il finanziatore può escutere tempestivamente il garante in luogo del debitore; la garanzia è un obbligo assunto esplicitamente dal garante; il garante copre tutti i tipi di pagamento che il debitore è obbligato a effettuare in base all’esposizione; la garanzia deve essere tutelata in tutti gli ordinamenti interessati.

Su questi temi il sistema dei confidi italiani è chiamato a sviluppare l’evoluzione della propria missione in linea con le prospettive ed i vincoli imposti dall’Accordo, per supportare il profilo creditizio delle piccole e medie imprese del Paese.



Rivista di Diritto Bancario Tidona - Il contenuto di questo documento potrebbe non essere aggiornato o comunque non applicabile al Suo specifico caso. Si raccomanda di consultare un avvocato esperto prima di assumere qualsiasi decisione in merito a concrete fattispecie.

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