Studio Legale Tidona e Associati | Diritto Bancario e Finanziario
  • AVVOCATI
    • Avvocati Partners
    • Maurizio Tidona
    • Maura Castiglioni
    • Sandra Galletti
  • SETTORI
    • Diritto Bancario
    • Diritto Finanziario
    • Diritto del Fintech
    • Diritto Assicurativo
    • Contenzioso Bancario e Finanziario
    • Contrattualistica Bancaria e Commerciale
    • Crisi dell’impresa, procedure d’insolvenza e sovraindebitamento
  • CASI
  • RIVISTA BANCARIA
    • Rivista di Diritto Bancario e Finanziario
    • Diritto bancario Tidona
    • Diritto finanziario Tidona
    • Diritto Fallimentare e Crisi di impresa
    • Notizie dalla Corte Bancaria
    • Pubblica nella Rivista Bancaria
  • NEWSLETTER
    • NEWSLETTER
    • Privacy
  • CONTATTI
    • Contatti
    • Lavora con noi
  • IT
  • EN
  • AVVOCATI
    • Avvocati Partners
    • Maurizio Tidona
    • Maura Castiglioni
    • Sandra Galletti
  • SETTORI
    • Diritto Bancario
    • Diritto Finanziario
    • Diritto del Fintech
    • Diritto Assicurativo
    • Contenzioso Bancario e Finanziario
    • Contrattualistica Bancaria e Commerciale
    • Crisi dell’impresa, procedure d’insolvenza e sovraindebitamento
  • CASI
  • RIVISTA BANCARIA
    • Rivista di Diritto Bancario e Finanziario
    • Diritto bancario Tidona
    • Diritto finanziario Tidona
    • Diritto Fallimentare e Crisi di impresa
    • Notizie dalla Corte Bancaria
    • Pubblica nella Rivista Bancaria
  • NEWSLETTER
    • NEWSLETTER
    • Privacy
  • CONTATTI
    • Contatti
    • Lavora con noi
  • IT
  • EN

18 Novembre 2020 In Diritto finanziario Tidona

Partenariato pubblico privato, finanza di progetto e project bond



© Tutti i diritti riservati. Vietata la ripubblicazione cartacea ed in internet senza autorizzazione. È consentito il link diretto a questo documento.

Di Antonio Pezzuto, ex Dirigente della Banca d’Italia

 

  1. Il partenariato pubblico privato

In un contesto caratterizzato da scarse risorse pubbliche per l’introduzione di vincoli di bilancio sempre più stringenti, il partenariato pubblico privato (public private partnership – PPP) rappresenta una soluzione idonea per finanziare, costruire e rinnovare infrastrutture di pubblica utilità, di cui il nostro Paese necessita per migliorare la qualità dei servizi offerti alla collettività, ridurre i divari economici territoriali, favorire la crescita e la competitività[1]. Il PPP può quindi essere definito come una forma di collaborazione di lunga durata tra il soggetto pubblico e quello privato finalizzata al finanziamento, la costruzione, il rinnovamento, la gestione o la manutenzione di un’opera pubblica o la fornitura di un servizio.

In ambito europeo, l’inizio del PPP può farsi risalire ai primi anni Novanta del secolo scorso quando il Governo inglese intraprese una serie di iniziative per la realizzazione di infrastrutture pubbliche, che prevedevano la partecipazione del settore privato. E’ nel 1992, infatti, che venne lanciata la politica della “Private Finance Initiative”, allo scopo di promuovere il coinvolgimento dei privati nel finanziamento di progetti a lungo termine per la realizzazione di opere e la prestazione di servizi di pubblica utilità. Il programma governativo è stato rivolto, tra l’altro, alla costruzione e gestione dei mezzi di trasporto urbano, scuole ed ospedali ed ha ispirato le attività di molte organizzazioni internazionali, le quali promuovono il ricorso al PPP per l’implementazione delle infrastrutture nelle economie in via di sviluppo e in quelle maggiormente sviluppate.

Nella prassi internazionale si sono affermate molteplici tipologie di PPP che possono essere ricondotte a due principali categorie: quella con una prevalenza delle responsabilità e dei connessi rischi in capo al settore pubblico e quella con una crescente allocazione delle responsabilità e dei relativi rischi al settore privato.

Rientrano nella prima fattispecie il design & build (DB) e l’operate & maintain (OM). Nel primo il soggetto privato si occupa della progettazione e costruzione di una infrastruttura e fornisce le risorse finanziarie per la realizzazione del progetto. Nel secondo l’operatore privato si limita alla gestione e manutenzione di un servizio di pubblica utilità.

Le forme di PPP che prevedono invece una crescente allocazione delle responsabilità e dei relativi rischi al soggetto privato sono:

  • il design, build & operate (DBO), il quale prevede che il soggetto privato curi la progettazione e la costruzione dell’infrastruttura, che rimane di proprietà pubblica, nonché la gestione del relativo servizio, con l’erogazione del finanziamento da parte del soggetto pubblico;
  • il build, lease & transfer (BLT), che conferisce a più operatori la costruzione e il finanziamento dell’opera, con la previsione del trasferimento, a fine contratto, della relativa proprietà all’operatore pubblico;
  • il design, build, finance & operate (DBFO), in cui il soggetto privato progetta, costruisce e finanzia un’infrastruttura di proprietà pubblica;
  • il build, operate & transfer (BOT), che conferisce al soggetto privato la costruzione dell’opera e la gestione del servizio correlato, con previsione di un trasferimento di proprietà, a fine concessione, al soggetto pubblico;
  • il build own & operate (BOO), il quale prevede l’assegnazione dell’incarico di costruzione e gestione dell’opera al soggetto privato, cui viene anche trasferita la relativa proprietà al termine della concessione.

Il 30 aprile 2004 la Commissione europea ha pubblicato il “Libro Verde relativo al PPP e al diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni”, nel quale non fornisce una definizione giuridica del PPP, ma ne delinea i seguenti elementi essenziali: i) tendenziale lunga durata della collaborazione tra l’operatore pubblico e quello privato sui vari aspetti di un progetto da realizzare; ii) finanziamento del progetto, garantito in tutto o in parte dal soggetto privato; iii) rilevanza del ruolo dell’operatore privato che partecipa a tutte le fasi di sviluppo del progetto (progettazione, finanziamento, attuazione e gestione); iv) distribuzione dei rischi tra i due partner, da effettuarsi caso per caso, in funzione della capacità delle parti di individuare, valutare, controllare e gestire gli stessi.

Il ricorso ai modelli di PPP consente di perseguire due finalità: garantire opere e servizi pubblici, anche in situazioni di restrizione del bilancio statale; assicurare l’utilizzo di metodologie proprie del settore privato, per ottenere una migliore combinazione qualità/prezzo senza alcun pregiudizio per l’interesse della collettività.

I progetti che possono essere realizzati tramite forme di partnership tra pubblico e privato possono essere classificati in tre principali categorie:

  • progetti dotati di una intrinseca capacità di generare reddito attraverso ricavi da utenza. Sono iniziative in cui i ricavi della gestione previsionali consentono al settore privato un integrale recupero dei costi di investimento;
  • progetti che richiedono una componente di contribuzione pubblica. Sono iniziative in cui i ricavi della gestione sono insufficienti a generare adeguati ritorni economici, ma la cui realizzazione produce esternalità positive in termini di benefici per la collettività;
  • progetti in cui il soggetto privato fornisce direttamente servizi alla pubblica amministrazione. Sono opere pubbliche per la cui gestione l’operatore privato trae la propria remunerazione dai pagamenti effettuati dalla pubblica amministrazione.

Il Libro Verde della Commissione distingue, inoltre, due categorie di partenariati: i) il partenariato contrattuale, nel quale il rapporto tra soggetto pubblico e soggetto privato si fonda su legami esclusivamente contrattuali, come per gli appalti e le concessioni. Il modello più conosciuto è quello concessorio, caratterizzato dall’esistenza di un legame diretto tra l’operatore privato e l’utente finale e in cui il soggetto privato fornisce un servizio alla collettività in luogo, ma sotto il controllo, del soggetto pubblico; e ii) il partenariato istituzionalizzato, in cui la collaborazione tra i due partner avviene nell’ambito di una entità distinta dotata di personalità giuridica propria e che permette all’operatore pubblico di mantenere un livello di controllo relativamente elevato sulla struttura. La creazione di un PPP istituzionalizzato può avvenire attraverso la costituzione di una società detenuta congiuntamente dai due partner oppure tramite la privatizzazione di una società preesistente.

La cooperazione tra soggetto pubblico e privato implica la realizzazione di una complessa operazione nella quale coesistono i seguenti elementi distintivi: la progettazione (design); il finanziamento (finance); la costruzione (build); la gestione (operate); la manutenzione (maintenance). Resta fermo il principio della responsabilità in termini di organizzazione, regolazione e vigilanza in capo al soggetto pubblico, così come la proprietà dell’opera.

In Italia, l’istituto del PPP è disciplinato dal d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici), che ha recepito nel nostro ordinamento la Direttiva 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, la Direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici e la Direttiva 2014/25/UE relativa alle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali. Al decreto 50/2016 si affiancano le Linee guida dell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), emanate il 28 marzo 2018 in attuazione dell’art. 181, comma 4, del Codice, che definiscono le modalità con le quali le amministrazioni aggiudicatrici, attraverso il monitoraggio dei rischi, esercitano il controllo sull’attività dell’operatore economico nella fase di esecuzione dei contratti di PPP.

L’art. 3, comma 1, lett. eee) e l’art. 180 del decreto definiscono il contratto di PPP quale “contratto a titolo oneroso, stipulato per iscritto con il quale una o più stazioni appaltanti conferiscono a uno o più operatori economici per un periodo determinato in funzione della durata dell’ammortamento dell’investimento o delle modalità di finanziamento fissate, un complesso di attività consistenti nella realizzazione, trasformazione, manutenzione e gestione operativa di un’opera in cambio della sua disponibilità, o del suo sfruttamento economico o della fornitura di un servizio connessa all’utilizzo dell’opera stessa, con assunzione di rischio secondo modalità individuate nel contratto, da parte dell’operatore”.

L’art. 180, comma 8, del Codice, contiene un elenco esemplificativo di contratti di PPP, includendo in tale categoria la finanza di progetto (project financing), di cui ci si occupa nel prossimo paragrafo, la concessione di costruzione e gestione, la concessione di servizi, la locazione finanziaria di opere pubbliche, il contratto di disponibilità e “qualunque procedura di realizzazione in partenariato di opere e servizi” che presentino le caratteristiche di cui all’art. 180.

Uno degli elementi fondamentali affinché si possa configurare un contratto di PPP è rappresentato dal trasferimento dei rischi all’operatore economico privato. L’amministrazione dovrebbe pertanto trasferire al privato i rischi che questi è in grado di minimizzare con riferimento alla loro probabilità di manifestazione o all’impatto economico negativo ad essi riferibile.

Gli articoli 3 e 180, comma 3, del Codice prevedono l’allocazione in capo all’aggiudicatario delle seguenti tipologie di rischi:

  • il rischio operativo, che è il rischio “legato alla gestione dei lavori o dei servizi sul lato della domanda o sul lato dell’offerta o di entrambi”. In particolare, si considera che l’operatore privato assuma detto rischio nel caso in cui, in condizioni operative normali, non sia garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei lavori o dei servizi oggetto della concessione;
  • il rischio di costruzione, che è il rischio connesso al ritardo nei tempi di consegna dei lavori, al mancato rispetto degli standard di progetto, all’aumento dei costi preventivati, a inconvenienti di tipo tecnico e al mancato completamento dell’opera (ad esempio, rischio di progettazione e rischio di esecuzione dell’opera);
  • il rischio di disponibilità, che è il rischio legato alla indisponibilità del concessionario di erogare le prestazioni stabilite contrattualmente;
  • il rischio di domanda, che è il rischio collegato sia alla riduzione della domanda complessiva del mercato per il servizio erogato sia all’insorgere nel mercato di riferimento di un’offerta competitiva di altri operatori.

Non può considerarsi trasferito all’operatore economico, ad avviso dell’ANAC, il rischio di costruzione, laddove l’amministrazione si obblighi a corrispondere allo stesso le somme stabilite dal contratto o nel caso in cui si obblighi a sopportare ogni eventuale costo aggiuntivo indipendentemente dalla relativa causa. Parimenti, non potrà considerarsi trasferito all’operatore economico: i) il rischio di disponibilità, qualora “il pagamento dei corrispettivi stabiliti contrattualmente non sia strettamente correlato al volume e alla qualità delle prestazioni erogate; il contratto non preveda un sistema automatico di penali in grado di incidere significativamente sui ricavi e profitti dell’operatore economico; il valore del canone di disponibilità risulti così sovrastimato da annullare l’assunzione del rischio”; e ii) il rischio di domanda, “laddove l’amministrazione si obblighi ad assicurare all’operatore economico determinati livelli di corrispettivo indipendentemente dall’effettivo livello di domanda espresso dagli utenti finali, in modo tale che le variazioni di domanda abbiano un’influenza marginale sui profitti dell’operatore economico”.

Le linee guida dell’ANAC individuano una serie di ulteriori rischi che possono manifestarsi, sia nella fase che precede l’aggiudicazione e/o la stipula del contratto di PPP, sia in quella successiva, ovvero durante l’intero ciclo di vita del contratto. Tra questi, si segnalano il rischio di commissionamento, ossia il rischio che il progetto non riceva il consenso da altri soggetti pubblici o dalla collettività, con conseguenti ritardi nell’avvio dei lavori, il rischio ambientale e/o archeologico, ossia il rischio legato alle condizioni del terreno su cui dovrà sorgere l’opera e al ritrovamento di reperti antichi, il rischio finanziario, che si concretizza in un aumento dei tassi di interesse e/ di mancato rimborso di una o più rate di finanziamento, e il rischio di obsolescenza tecnica, legato ad un più rapido “invecchiamento” degli impianti.

Per garantire l’allocazione ottimale dei rischi, il Codice ha previsto, al sopra richiamato art. 181, comma 4, che, nel corso dei lavori di costruzione dell’opera, l’amministrazione aggiudicatrice eserciti il controllo sull’attività dell’operatore economico affidatario attraverso la predisposizione e applicazione di sistemi di monitoraggio, verificando in particolare la permanenza in capo all’operatore economico dei rischi trasferiti. A tal fine, è previsto che al contratto di PPP sia allegata, oltre all’offerta aggiudicataria, la matrice dei rischi, attraverso la quale le amministrazioni aggiudicatrici identificano e qualificano i rischi connessi all’intervento da realizzare. La matrice costituisce uno strumento-chiave da utilizzare tanto nella fase di programmazione (per la redazione del documento di fattibilità economica e finanziaria e per verificare la convenienza del ricorso al PPP rispetto a un appalto tradizionale), tanto nella fase di esecuzione per il monitoraggio dei rischi.

La compilazione della matrice implica la necessità di considerare i seguenti aspetti:

  1. identificazione del rischio (risk identification), si individuano tutti gli eventi rilevanti che potrebbero costituire un rischio nella realizzazione del progetto;
  2. valutazione del rischio (risk assessment), si valuta la probabilità del verificarsi di un evento associato a un rischio e dei costi che ne possono derivare;
  3. gestione del rischio (risk management), si individuano gli strumenti di mitigazione del rischio;
  4. monitoraggio e revisione del risk management, si monitorano i rischi identificati e si individuano nuovi eventuali rischi.

Completata l’attività di individuazione e valutazione dei rischi, il passo successivo da compiere consiste nel decidere quali di essi è opportuno trasferire, quali ritenere e quali suddividere tra le parti, nonché le percentuali di suddivisione.

L’art. 181, comma 3, del Codice introduce l’obbligo per le amministrazioni di valutare la convenienza economica del ricorso a contratti di PPP. Questo tipo di valutazione può essere condotto attraverso la metodologia del “Value for money” (VfM), inteso come margine di convenienza di un’operazione in PPP rispetto a un appalto tradizionale.

Uno dei metodi più diffusi per valutare il VfM è quello del c.d. Public Sector Comparator (PSC), mutuato dall’esperienza anglosassone, che può essere definito come un ipotetico costo, aggiustato con una componente di rischio nel caso in cui un’opera infrastrutturale sia finanziata e gestita da un’amministrazione pubblica. Il calcolo del PSC è effettuato attraverso la misurazione delle seguenti componenti:

  • il PSC base, che include il costo del capitale e i costi operativi relativi alla costruzione, manutenzione e gestione dell’infrastruttura;
  • la neutralità competitiva, che consiste nella rimozione di qualsiasi vantaggio competitivo di cui l’amministrazione potrebbe fruire in caso di costruzione e gestione di un’opera attraverso un appalto tradizionale;
  • il rischio trasferibile, che è il rischio associato a una serie di eventi che influenzano la costruzione e la gestione di un’opera (ad esempio, aumenti dei costi di costruzione o ritardi nella conclusione dei lavori);
  • il rischio trattenuto, che è il rischio non trasferibile all’operatore privato.

Il PSC risulta, quindi, come somma delle suddette componenti:

  • PSC = PSC base + neutralità competitiva + rischio trasferibile + rischio trattenuto.

Il PSC può essere utilizzato sia nella fase iniziale, in cui l’amministrazione dovrà decidere se realizzare l’opera in PPP oppure attraverso un appalto tradizionale, sia nelle fasi di valutazione delle offerte presentate dagli operatori privati. Nel primo caso il PSC viene calcolato nell’ambito dello studio di fattibilità per supportare il processo decisionale dell’amministrazione. Nel secondo caso il PSC può essere utilizzato per confrontare le offerte di operatori privati o valutare ex post la convenienza dell’operazione.

Dopo aver valutato i rischi e definito i costi, occorrerà determinare il vero costo di realizzazione dell’opera per il soggetto pubblico, secondo la formula valore attuale netto dei costi (VANc) + valore attuale netto dei rischi (VANr). Tale valore andrà confrontato con il VAN dei costi e dei rischi ottenibile del soggetto privato. Solo se il privato è in grado di minimizzare i rischi trasferiti dal soggetto pubblico, l’amministrazione conseguirà il value for money ovvero avrà realizzato un’operazione con efficienza, efficacia e risparmio di risorse pubbliche.

Il principale limite della metodologia del PSC è rappresentato dal fatto che essa si fonda su previsioni e stime spesso soggettive che, se non opportunamente sostenute da dati e informazioni storiche, potrebbero non essere pienamente affidabili.

L’utilizzo del PSC in Italia è ad oggi facoltativo. Tuttavia, l’ANAC ne consiglia l’uso nel caso di realizzazione di opere che non producono sufficienti flussi di cassa per ripagare l’investimento e/o finanziare la gestione.

Il PPP presenta vantaggi ed elementi di criticità. Oltre ai benefici che possono derivare alla collettività in termini di efficienza gestionale, di qualità delle opere e di efficacia dei servizi resi, il ricorso al PPP può permettere di superare i vincoli di bilancio posti dal Patto di stabilità e crescita. Inoltre, la partecipazione di soggetti privati attraverso l’apporto di capitali ed elevate competenze manageriali consente di affinare le metodologie di valutazione delle iniziative economiche, stimare i benefici che l’operatore può conseguire con l’istituto di PPP in alternativa al tradizionale finanziamento a carico del bilancio pubblico, trasferire al settore privato parte dei rischi connessi alla realizzazione del progetto.

Le operazioni di PPP non sono tuttavia esenti da criticità. Tra queste rilevano in particolare: i) eccessiva fiducia nelle capacità risolutive dello strumento contrattuale, come alternativa alla carenza di risorse pubbliche disponibili; ii) assenza di propedeutiche verifiche sulla reale convenienza del ricorso al PPP, in termini di ottimizzazione dei costi per la P.A.; iii) inadeguata capacità delle amministrazioni pubbliche a confrontarsi con la parte privata, sia nell’identificazione dei rispettivi obblighi contrattuali, sia nelle valutazioni economiche e finanziarie, sia nel monitoraggio dell’esecuzione del contratto; e iv) allungamento dei tempi di avvio della fase operativa delle iniziative, a causa della complessità delle procedure di affidamento dei lavori.

Secondo il Centro europeo di consulenza per i PPP (EPEC), tra il 2009 e il 2018 il mercato del PPP europeo ha mostrato un andamento flettente, sia in termini di numero sia come valore. Nel 2018 39 operazioni di PPP hanno raggiunto il closing finanziario, per un importo complessivo di circa 14,6 miliardi di euro. Tuttavia, sempre nel 2018, a fronte della diminuzione del numero di operazioni rispetto al 2017, il loro valore medio è aumentato, raggiungendo i 375 milioni (345 milioni nel 2017).

Il paese che ha dominato il mercato europeo del PPP nel 2018 è stata la Turchia che, con 5,1 miliardi, ha fatto registrare il più alto valore delle transazioni europee, superando Francia e Regno Unito. Se si estende l’analisi al periodo 2009-2018, emerge invece che il Regno Unito è stato il leader assoluto del mercato del PPP europeo sia in termini di contratti chiusi (1.032) sia in termini di valore (160 miliardi), seguito da Francia e Spagna.

In Italia, secondo l’Osservatorio nazionale di PPP, tra il 2002 e il 2016 il mercato del PPP ha registrato un significativo sviluppo: infatti, i bandi di gara sono aumentati in termini sia di numero sia di importo (rispettivamente, da 332 a 3.297 e da 1,4 a 5,9 miliardi di euro) e l’incidenza dei bandi PPP sul totale dei bandi delle opere pubbliche è cresciuta in termini sia di numero sia di importo (rispettivamente, dallo 0,9 al 17,7 per cento e dal 6 al 23,5 per cento).

L’indagine dell’Osservatorio ha consentito inoltre di evidenziare che le tipologie contrattuali più diffuse cui la P.A. fa ricorso per l’affidamento di operazioni di PPP sono le concessioni di servizi per numero di bandi (22.995, pari al 72 per cento della domanda di PPP) e le concessioni di lavori pubblici per importo (52 miliardi, pari al 56 per cento del valore del mercato PPP).

 

  1. Il project financing

Da tempo diffuso nei paesi di common law[2], il project financing (o finanza di progetto) è un’operazione di finanziamento di un progetto in grado di generare, nella fase di gestione, flussi di cassa sufficienti a rimborsare il debito contratto per la sua realizzazione e remunerare il capitale di rischio[3]. Tale tecnica è utilizzata per finanziare sia investimenti privati sia investimenti pubblici. Le finalità dell’intervento non sono peraltro sempre coincidenti. Infatti, mentre nel settore privato prevale l’ottica di massimizzare il profitto, in quello pubblico prevale, invece, l’orientamento a perseguire un interesse collettivo, erogando servizi di elevata qualità e minimizzando l’impatto sul bilancio dello Stato.

L’operazione è strutturata partendo dalla creazione di una società ad hoc, denominata società di progetto o società veicolo (special purpose vehicle), con il compito di finanziare la realizzazione di un’opera, in parte con capitale di rischio, in parte con debito[4]. La costituzione di una società veicolo consente di mantenere separati i flussi di cassa attesi dalla gestione del progetto dal patrimonio dei soggetti promotori dell’iniziativa (ring-fencing).

Le caratteristiche distintive di un’operazione di project financing possono essere ricondotte ai seguenti elementi:

  • self-liquidating. Il progetto deve essere strutturalmente idoneo a generare un flusso di cassa costante per un dato periodo di tempo;
  • ring-financing. La separazione giuridica, finanziaria ed economica dell’iniziativa rispetto alle altre attività imprenditoriali dei promotori si realizza attraverso la costituzione di una società ad hoc per la realizzazione e gestione del progetto;
  • risk-sharing. I rischi connessi all’operazione sono ripartiti tra i diversi soggetti coinvolti nell’iniziativa, mediante l’adozione di clausole e schemi contrattuali.

Da un punto di vista prevalentemente finanziario, le operazioni di project financing si possono suddividere in tre categorie, a seconda della rivalsa dei soggetti finanziatori sugli azionisti della società veicolo:

  • operazioni “senza rivalsa” (without recourse), in cui è esclusa la rivalsa dei finanziatori sugli azionisti della SPV. In questo caso, i finanziatori assumono pressoché interamente i rischi connessi alla realizzazione e alla redditività dell’opera. Pertanto, la garanzia è rappresentata esclusivamente dai flussi di cassa generati dal progetto e dal patrimonio della società veicolo;
  • operazioni “con rivalsa limitata” (limited recourse), nelle quali le garanzie accessorie non coprono, generalmente, l’intero importo del progetto; pertanto, una parte del rischio viene di fatto assunta dai finanziatori;
  • operazioni “con rivalsa piena” (total recourse), in cui la rivalsa dei finanziatori sugli azionisti è totale, in caso di fallimento del progetto.

Le operazioni di project financing sono finalizzate a finanziare due distinte tipologie di progetti: i) progetti infrastrutturali di nuova costruzione (c.d. progetti di tipo greenfield) in settori strategici (trasporti, energia e banda larga), in grado di implementare la dotazione infrastrutturale di un Paese; e ii) progetti infrastrutturali già in esercizio (c.d. progetti di tipo brownfield), per i quali si rende necessario rifinanziare il debito precedentemente assunto per la realizzazione della relativa infrastruttura.

Il project financing è contraddistinto da un complesso di garanzie e accordi contrattuali (c.d. security package), con i quali la società veicolo provvede a ripartire responsabilità e rischi connaturati nel progetto d’investimento tra i vari soggetti che partecipano all’operazione.

La tecnica del project financing viene utilizzata per la realizzazione di opere pubbliche “calde”, “tiepide” e “fredde”. Le opere calde sono opere in grado di generare ricavi da utenza, in misura tale da ripagare i costi di investimento e remunerare il capitale investito. Le opere tiepide sono opere che generano ricavi da utenza non sufficienti a ripagare interamente le risorse impiegate per la loro realizzazione, rendendo necessario un contributo pubblico. Le opere fredde sono opere per le quali il privato che le realizza e le gestisce fornisce servizi direttamente alla P.A., ricevendo in cambio un corrispettivo.

L’operazione di project financing si articola in tre fasi distinte. La prima (identificazione del progetto) consiste nella raccolta e nell’analisi di tutte le informazioni utili per predisporre uno studio di fattibilità (tecnica e finanziaria) e per elaborare un piano economico-finanziario. E’ in questa fase che i soggetti finanziatori forniscono le risorse necessarie alla realizzazione dell’opera. Le dimensioni particolarmente rilevanti del finanziamento richiedono, in genere, che le risorse raccolte siano erogate in pool, cioè con il concorso di più istituzioni creditizie, e in stati di avanzamento dei lavori. Nella seconda (realizzazione del progetto) vengono sottoscritti i contratti che regoleranno i rapporti tra le parti (società di progetto, finanziatori, consulenti esterni, ecc.) e condotti i test per verificare la capacità del progetto di funzionare secondo le modalità, i tempi e le condizioni stabiliti contrattualmente. La terza fase (gestione operativa), che ha inizio nel momento in cui l’opera è conclusa, è volta a verificare la capacità del progetto di generare flussi monetari sufficienti a rimborsare il debito e remunerare il capitale investito.

I soggetti che partecipano a un’operazione di project financing sono generalmente numerosi e il loro numero varia in funzione delle dimensioni e della complessità del progetto. In una tipica operazione di project financing intervengono le seguenti categorie di operatori: i) i finanziatori, che apportano il capitale di debito per la realizzazione dell’iniziativa; ii) gli sponsor (o promotori), i quali promuovono l’operazione, costituendo la SPV e conferendo il capitale di rischio; iii) la società veicolo, che è costituita per realizzare e gestire il progetto; iv) il contractor, che è l’impresa (o il consorzio di imprese) che si aggiudica la gara e realizza l’opera; v) gli advisor, cioè i consulenti incaricati di preparare lo studio di fattibilità dell’operazione.

I rischi principali connessi a un’operazione di project financing possono suddividersi in due categorie: i rischi di “pre-completamento” (c.d. rischio di pre-completion), che possono manifestarsi nella fase di progettazione e realizzazione del progetto (ad esempio, rischio di costruzione), e i rischi di “post-completamento” (c.d. rischio di post-completion), che possono materializzarsi nella fase di gestione economica dell’iniziativa (ad esempio, rischio di domanda e rischio di disponibilità).

I vantaggi del ricorso al project financing possono essere distinti, con riferimento ai soggetti coinvolti nell’operazione, come segue. Per l’amministrazione pubblica i benefici sono essenzialmente due: 1) la possibilità di realizzare un’iniziativa di notevole interesse per la collettività, limitandone l’impatto sul bilancio pubblico e senza assumere il rischio finanziario e di mercato, che dovrebbero gravare sui privati; e 2) l’opportunità di perseguire una più elevata qualità della progettazione, tempi ridotti di realizzazione dell’opera e maggiore efficienza gestionale. Per le imprese, i vantaggi consistono nella possibilità di: i) limitare l’impatto sul proprio bilancio di un eventuale fallimento del progetto, soprattutto qualora il progetto sia di dimensione rilevante rispetto alla consistenza patrimoniale dei promotori; ii) attivare un’elevata leva finanziaria; iii) condividere con altre imprese (pubbliche o private) competenze e risorse su progetti innovativi e per questo più rischiosi.

A fronte dei suddetti vantaggi, vanno segnalate le criticità derivanti dal ricorso al project financing, quali i maggiori costi di strutturazione in relazione alla necessità di elaborare un impianto contrattuale più complesso, una rigidità della struttura contrattuale al termine del processo negoziale fra tutti i soggetti partecipanti all’operazione, la complessità del processo di identificazione e allocazione dei rischi, il possibile allungamento dei tempi di avvio dell’intervento.

I soggetti proponenti un’operazione di project financing devono presentare un piano economico-finanziario asseverato da una banca, da un intermediario finanziario o da una società di revisione. Il piano deve contenere una serie di elementi atti a consentire all’amministrazione di compiere una propria valutazione sull’iniziativa, tra cui: la quantificazione dei costi di investimento; la stima dei flussi di cassa in entrata e in uscita, per analizzare la sostenibilità finanziaria dell’investimento; il calcolo degli indicatori di redditività e bancabilità del progetto; il calcolo degli indicatori relativi al capitale investito dai soci; l’analisi di sensitività e di scenario per la valutazione del rischio.

Nella stesura di un piano economico-finanziario devono essere evidenziate, in particolare, due condizioni che assicurino la fattibilità e la realizzabilità del progetto: i) la convenienza economica, ossia la capacità del progetto di creare valore e generare un livello di redditività adeguato rispetto alle aspettative dell’investitore privato; e ii) la sostenibilità finanziaria (bancabilità), cioè la capacità del progetto di generare flussi monetari sufficienti a garantire il rimborso dei finanziamenti e una adeguata redditività per gli azionisti.

Per valutare la convenienza economica del progetto si può far ricorso a diverse metodologie, tra cui le più utilizzate sono quelle basate sul calcolo di due specifici indicatori. Il primo è il Valore Attuale Netto (VAN), che rappresenta la ricchezza incrementale generata dall’investimento. Esso è dato dalla somma algebrica dei flussi di cassa operativi attesi dal progetto, scontati al tasso corrispondente al costo stimato del capitale investito. Un VAN positivo segnala la capacità del progetto di liberare flussi monetari sufficienti a ripagare l’esborso iniziale e remunerare i capitali investiti. L’altro indicatore è il Tasso Interno di Rendimento (TIR), che è quel tasso di attualizzazione in corrispondenza del quale il VAN è pari a zero. Il TIR rappresenta quindi il costo più elevato che gli sponsor sono disponibili a sostenere per realizzare l’opera.

La convenienza economica di un’operazione di investimento deve essere valutata anche ponendosi nell’ottica degli azionisti della società di progetto. In tal caso, il TIR e il VAN andranno calcolati sui flussi di cassa spettanti agli azionisti e il tasso di attualizzazione impiegato esprimerà il solo costo opportunità del capitale di rischio.

La sostenibilità finanziaria è misurata facendo riferimento a due indicatori: il Debt Service Coverage Ratio (DSCR) e il Loan Life Coverage Ratio (LLCR). Il DSCR è il rapporto tra il flusso di cassa operativo generato dal progetto in un dato periodo e il servizio del debito comprensivo di quota capitale e quota interessi. Un valore uguale o superiore all’unità rappresenta la capacità dell’investimento di liberare risorse sufficienti a coprire il servizio del debito. Il LLCR è il rapporto tra il valore attuale dei flussi di cassa netti prodotti nel periodo compreso tra la data della valutazione e l’ultimo anno previsto per il rimborso del finanziamento e l’ammontare complessivo del debito residuo. Quanto più l’indice di copertura assume valori superiori all’unità, tanto maggiore risulterà la solidità finanziaria dell’investimento e la garanzia del rimborso ottenuta dai finanziatori.

 Tra il 2002 e il 2017 sono stati censiti dall’Osservatorio 1.777 contratti di PPP con finanza di progetto e il valore complessivo del mercato, ovvero l’ammontare degli importi messi in gara, è risultato pari a circa 33 miliardi. Nell’analogo periodo si è passati da 67 procedure dell’importo di 806 milioni a 209 procedure dell’importo di circa 2 miliardi.

Nel periodo 2013-2017 si è registrata una crescita costante della finanza di progetto nei servizi e la ripresa nell’ultimo anno del project financing nella concessione di lavori, trainata dagli interventi nei settori energia e ambiente. In particolare, tra il 2013 e il 2017 sono state bandite 209 concessioni di servizi per 3,8 miliardi, mentre nel 2017 sono state bandite 106 gare per la concessione di lavori per 634 milioni.

Nell’intero periodo di osservazione sono risultate più numerose le iniziative nei settori dell’energia (29 per cento), principalmente per interventi di riqualificazione, adeguamento e gestione degli impianti di pubblica illuminazione delle strutture cimiteriali (22 per cento) e degli impianti sportivi (12 per cento).

L’Osservatorio ha inoltre censito, con riferimento al periodo 2013-2017, 1.174 aggiudicazioni dell’importo complessivo a base di gara di oltre 30 miliardi.

 

  1. I project bond

I project bond sono obbligazioni di scopo, ovvero titoli di debito, emesse da società di progetto o da società titolari di un contratto di PPP per realizzare progetti infrastrutturali e/o un servizio di pubblica utilità, nell’ambito di operazioni di project financing.

Tali titoli possono essere emessi anche in deroga ai limiti previsti dal codice civile, a condizione che gli stessi, essendo caratterizzati da un potenziale elevato rischio associato all’operazione, siano sottoscritti solo da investitori qualificati e circolino unicamente tra i medesimi soggetti. Il rimborso dei suddetti titoli è strettamente correlato ai flussi di cassa generati dall’investimento.

I project bond sono un importante strumento idoneo ad attrarre capitali privati per finanziare gli investimenti infrastrutturali, soprattutto in una fase storica in cui le tradizionali fonti di finanziamento (fondi pubblici e credito bancario) non sono in grado di assicurare le risorse necessarie.

I project bond godono di un regime fiscale agevolato. Infatti, gli interessi delle obbligazioni di progetto sono soggetti allo stesso trattamento di favore previsto per i titoli del debito pubblico, ovvero ad una tassazione con un’aliquota del 12,5 per cento, in luogo dell’aliquota del 26 per cento prevista dal decreto-legge 66/2014. Inoltre, i limiti di legge per la deducibilità degli interessi passivi derivanti da obbligazioni non si applicano alle società che emettono project bond. Infine, alle garanzie rilasciate per l’emissione di obbligazioni di progetto si applicano le imposte di registro, ipotecarie e catastali in misura fissa (200 euro).

Il ricorso ai project bond consente alle imprese emittenti di fruire di una serie di vantaggi, oltre a quelli d’ordine fiscale di cui sopra è cenno. Anzitutto, l’emissione di titoli di debito con scadenza medio-lunga consente un allungamento della durata media delle passività che contribuisce a riequilibrare la struttura finanziaria. In secondo luogo, il miglioramento degli equilibri finanziari e patrimoniali potrebbe determinare una valutazione più favorevole del merito di credito da parte del sistema bancario. Infine, la possibilità di disporre di una fonte di provvista alternativa al prestito bancario permette di attenuare il rischio connesso alla dipendenza dal canale bancario.

La raccolta di risorse tramite tale strumento presenta, tuttavia, elementi di criticità per le imprese legati essenzialmente: i) all’elevatezza dei costi da sostenere sia nella fase di analisi della fattibilità dell’operazione sia nelle successive fasi di emissione e collocamento dei titoli sul mercato; e ii) alla lunghezza dei tempi necessari alla raccolta dei capitali rispetto a quelli richiesti per l’erogazione dei finanziamenti bancari.

 

3.1 Profili evolutivi della disciplina

Originariamente, i project bond erano disciplinati dalla legge 11 febbraio 1994, n. 109 (c.d. legge “Merloni”) che, all’art. 37-sexies, introdotto dall’art. 11 della legge 415/1998, recitava che “le società costituite al fine di realizzare e gestire una singola infrastruttura o un nuovo servizio di pubblica utilità possono emettere, previa autorizzazione degli organi di vigilanza, obbligazioni, anche in deroga ai limiti di cui all’art. 2412 del codice civile, purché garantite pro-quota mediante ipoteca; dette obbligazioni sono nominative o al portatore”.

La norma, trasposta, con identico contenuto, nell’art. 157 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici), è rimasta inattuata sino al 2012, sostanzialmente per due ordini di ragioni: per l’impossibilità di iscrivere ipoteca sui beni oggetto di concessioni e per l’assoggettamento delle obbligazioni di progetto a un regime fiscale di sfavore rispetto sia al finanziamento bancario sia alle obbligazioni generalmente collocate sul mercato dei capitali.

Per rimuovere tali criticità e incentivare, attraverso il ricorso a obbligazioni di progetto, il finanziamento delle infrastrutture di pubblica utilità, ritenute fondamentali per la modernizzazione del Paese, il legislatore è intervenuto più volte per riformare la disciplina in materia. Il processo riformatore si è sviluppato lungo l’arco di un quinquennio, dal 2012 al 2014, nel corso del quale sono stati emanati quattro decreti-legge, convertiti poi in legge, e un decreto interministeriale.

Su iniziativa del governo Monti, viene approvato il decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (c.d. decreto “Cresci Italia”), convertito, con modificazioni, nella legge 24 marzo 2012, n. 27, che ha:

  1. dettato una disciplina speciale per le obbligazioni emesse da società di progetto e da società titolari di un contratto di partenariato pubblico-privato (PPP), consentendo di superare i limiti posti dagli articoli 2412 (limiti all’emissione) e 2483 (emissione di titoli di debito) c.c.;
  2. riservato la sottoscrizione di detti titoli, ora solo nominativi, agli investitori qualificati (banche, imprese di investimento, assicurazioni, ecc.), meglio in grado di apprezzare il rischio sottostante;
  • stabilito che i titoli e la relativa documentazione di offerta devono riportare chiaramente ed evidenziare distintamente un avvertimento circa l’elevato profilo di rischio dell’operazione;
  1. previsto la possibilità, per il sistema finanziario, le fondazioni (incluse quelle a partecipazione pubblica) e i fondi privati, di garantire le obbligazioni durante il periodo di costruzione dell’opera e fino alla gestione dell’infrastruttura da parte del concessionario, in modo da consentire la riduzione del rischio assunto dai sottoscrittori;
  2. esteso l’applicabilità dell’art. 157 del Codice dei contratti alle società titolari di autorizzazione alla costruzione di impianti di rigassificazione e di reti di trasporto e stoccaggio gas e di energia elettrica.

Il decreto 1/2012 si inserisce nel quadro della Project Bond Initiative promossa il 19 ottobre 2011 dalla Commissione europea, che prevede l’utilizzo dei project bond per rilanciare l’economia europea nei settori delle infrastrutture ritenuti strategici a livello europeo[5]. Più in dettaglio, l’iniziativa europea è finalizzata a stimolare l’investimento nei settori chiave delle infrastrutture e a incentivare l’intervento dei capitali privati su progetti a medio e lungo termine che garantiscano la produzione di flussi monetari sufficienti a ripagare e remunerare adeguatamente gli investimenti.

Per assicurare ai project bond un rating superiore ad A-, la Banca europea degli investimenti (BEI) fornisce un finanziamento o una garanzia sui titoli emessi per aumentare la probabilità di rimborso del debito da parte della società di progetto. Il finanziamento (o garanzia) rappresenta una percentuale del totale finanziato tramite project bond, fino a un massimo del 20 per cento di tutto il debito senior, debito che, in caso di fallimento, viene rimborsato in via privilegiata rispetto agli altri creditori.

Al decreto “Cresci Italia” è seguito il decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (c.d. decreto “Sviluppo”), convertito, con modificazioni, nella legge 134/2012, con il quale sono state introdotte agevolazioni fiscali temporanee (3 anni) volte ad incentivare l’utilizzo dei project bond. Più precisamente, il nuovo decreto ha:

  • equiparato, sotto il profilo fiscale, i project bond ai finanziamenti di progetto ordinari, al fine di consentire la deducibilità degli oneri finanziari da parte delle società di progetto;
  • previsto un’imposizione fiscale su base fissa per le imposte d’atto;
  • riconosciuto l’applicazione ai titoli della specie del regime di tassazione più favorevole, al pari di quelli sul debito pubblico.

Un’ulteriore novità introdotta dal decreto “Sviluppo” è quella riguardante l’estensione della possibilità di emettere project bond anche al rifinanziamento del debito precedentemente contratto per realizzare una singola infrastruttura o un’opera connessa ad un servizio di pubblica utilità (progetti brownfield). Come sottolineato nella relazione illustrativa dello schema di decreto, questa previsione appare particolarmente opportuna, poiché consentirebbe anche alle società di progetto e a quelle titolari di contratti di partenariato pubblico-privato, che abbiano già ottenuto finanziamenti per la realizzazione dell’opera (principale o a quella connessa), di avvalersi dello strumento previsto dall’art. 157 del Codice dei contratti.

Con il decreto 7 agosto 2012, emanato in attuazione dell’art. 157, comma terzo, del d.lgs. 163/2006, il Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, ha definito le modalità per la prestazione di garanzie (wrap) sui project bond, chiarendone finalità, ambito di applicazione, caratteristiche dei soggetti garanti e funzionamento operativo delle garanzie.

L’art. 1 del decreto interministeriale ribadisce che i project bond, emessi ai sensi dell’art. 157 del Codice degli appalti e del decreto-legge 83/2012, possono essere sottoscritti e circolare tra gli investitori qualificati. Inoltre, gli stessi possono essere assistiti da specifiche garanzie, al fine di mitigare il rischio assunto dagli investitori.

In base all’art. 2, le garanzie possono essere rilasciate per una durata corrispondente al periodo di costruzione e di avvio della gestione dell’infrastruttura o del nuovo servizio di pubblica utilità, sino all’effettiva entrata a regime degli stessi, ovvero fino alla scadenza dei titoli garantiti. Inoltre, le garanzie sui titoli emessi per il rifinanziamento del debito precedentemente contratto possono essere rilasciate anche nel periodo successivo all’avvio della gestione dell’infrastruttura.

Ai sensi dell’art. 3, le garanzie possono essere prestate dagli intermediari bancari (banche italiane, comunitarie ed extra comunitarie autorizzate a operare nel territorio nazionale), dagli intermediari finanziari, dalle imprese di assicurazione, dalla Cassa depositi e prestiti, dalla SACE e dalla BEI.

L’art. 4 stabilisce che le garanzie e le controgaranzie sono esplicite, irrevocabili, incondizionate e stipulate in forma scritta. Ai fini del rilascio delle garanzie, è necessario procedere alla valutazione del merito di credito del soggetto emittente e della adeguata sostenibilità economico-finanziaria degli investimenti, tenendo conto della redditività potenziale dell’opera, anche sulla base del relativo piano economico finanziario. Il decreto chiarisce, inoltre, che la garanzia copre il rischio di inadempimento del debitore principale per capitale e interessi e può essere escussa a seguito del mancato pagamento di uno o più pagamenti dovuti a termini del regolamento del prestito ovvero in caso di dichiarazione di insolvenza dell’emittente o assoggettamento dell’emittente a fallimento o altra procedura concorsuale di liquidazione applicabile. In caso di sua escussione, il garante provvede all’adempimento nei confronti dei soggetti garantiti, nei limiti dell’importo massimo garantito, nei termini ed alle condizioni contrattuali convenuti. Il documento per l’offerta agli investitori qualificati (offering circular) deve contenere: i) l’indicazione dei soggetti garanti e quali tra questi soggetti siano, o abbiano manifestato la disponibilità ad essere, direttamente o indirettamente, investitori o collocatori dei project bond oppure finanziatori dell’emittente; e ii) l’ammontare delle garanzie rilasciate da ciascuno.

Con il decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (c.d. decreto “Sviluppo-bis), convertito, con modificazioni, nella legge 221/2012, si estende il perimetro di applicazione della disciplina sui project bond alle società titolari delle autorizzazioni per la realizzazione di reti di comunicazione elettronica e a quelle titolari delle licenze individuali per l’installazione e la fornitura di reti di telecomunicazioni pubbliche.

Infine, con il decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (c.d. decreto “Sblocca Italia”), convertito, con modificazioni, nella legge 164/2014, vengono apportate numerose modifiche alla disciplina dei project bond. Nello specifico:

  • viene precisata la nozione di “investitori qualificati” cui è riservata la detenzione e circolazione dei titoli, coordinando tale definizione con i regolamenti CONSOB, emanati in attuazione del Testo unico sulla finanza (TUF), e chiarendo che per “investitori qualificati” debbano intendersi anche le società e gli altri soggetti giuridici controllati da investitori qualificati ai sensi dell’art. 2359 (società controllate e società collegate) c.c.;
  • si stabilisce che non trovano applicazione per i project bond gli articoli 2413 (riduzione del capitale sociale), 2414-bis, commi 1 e 2 (costituzione delle garanzie), 2415 (assemblea degli azionisti), 2416 (impugnazione delle deliberazioni assembleari), 2417 (rappresentante comune), 2418 (obblighi e poteri del rappresentante comune), 2419 (azione individuale degli obbligazionisti) e 2420 (sorteggio delle obbligazioni) c.c.;
  • si interviene sul regime di circolazione dei project bond, che cessano di essere nominativi e potranno essere emessi anche in forma dematerializzata;
  • si elimina l’obbligo di indicare anche sul titolo l’avvertimento circa l’elevato livello di rischio associato all’operazione. Tale avvertimento verrà riportato unicamente sulla documentazione di offerta;
  • si precisa che il sistema di garanzie di obbligazioni e titoli di debito opera anche fino alla scadenza delle obbligazioni e dei titoli medesimi;
  • si chiarisce che ai titolari di obbligazioni e titoli similari si applica la disciplina concernente il subentro nella concessione, il privilegio sui crediti e il limite di riduzione del canone di disponibilità;
  • si integra la disciplina delle garanzie prestate ai sottoscrittori di project bond, precisando che potranno essere costituite sia in favore dei sottoscrittori sia di un loro rappresentante;
  • si estende l’applicazione dell’imposta di bollo in misura agevolata (misura fissa pari a 200 euro) alle sostituzioni e ai trasferimenti di garanzie, anche qualora derivino dalla cessione delle suddette garanzie e titoli di debito;
  • viene resa strutturale l’applicazione dell’aliquota agevolata al 12,5 per cento sugli interessi delle obbligazioni di progetto emesse per finanziare gli investimenti in infrastrutture o nei servizi di pubblica utilità.

 

3.2. Il mercato dei project bond

Il mercato dei project bond è sorto e si è sviluppato inizialmente negli Stati Uniti e nel Canada. Si stima che tra il 2000 e il 2016 i volumi delle emissioni di project bond a sostegno di investimenti infrastrutturali siano aumentati nei suddetti paesi di 6,8 miliardi euro all’anno, con un picco di 15,2 miliardi nel 2013.

In Europa, invece, il mercato dei titoli della specie stenta ad affermarsi, posto che, nell’analogo periodo di riferimento, l’ammontare medio annuo di emissioni è risultato pari 3,6 miliardi di euro. In particolare, l’andamento delle emissioni nel tempo permette di individuare tre distinte fasi. La prima, dal 2000 al 2005, in cui si è registrato un avvio sostenuto del mercato, con un ammontare medio delle emissioni pari a circa 3,5 miliardi; la seconda, dal 2007 al 2012, caratterizzata da un declino del mercato, con un importo medio annuo delle emissioni pari a circa 1,2 miliardi; la terza fase, 2013, anno di euforia del mercato, nel corso della quale le emissioni hanno raggiunto un picco pari a circa 13,8 miliardi. A partire dal 2014, analogamente a quanto avvenuto nel mercato nord-americano, il mercato europeo dei project bond si caratterizza per un andamento progressivamente flettente che, a quanto risulta, non si è ancora arrestato.

In Italia, il mercato dei project bond non è particolarmente sviluppato, in ragione delle modeste competenze tecnico-scientifiche degli operatori dei settori coinvolti e dell’insufficiente esperienza finora maturata nella strutturazione e collocamento dei titoli. Tra il 2000 e il 2016, infatti, sono state effettuate 11 operazioni, per un ammontare complessivamente emesso pari a 3,2 miliardi di euro, a cui vanno ad aggiungersi 2,9 miliardi di debito contratto con intermediari bancari per i medesimi progetti. Pertanto, poco più della metà del debito (52%) utilizzato per finanziare investimenti infrastrutturali, pari a 6,1 miliardi, è rappresentata da collocamenti di project bond. E’ interessante notare che 7 delle 11 operazioni realizzate rispondono all’esigenza di rifinanziare il debito originariamente contratto.

Le emissioni sono prevalentemente riconducibili a progetti realizzati nei settori dell’energia (costruzione di impianti fotovoltaici) e dei trasporti (passante di Mestre e aeroporto di Ciampino).

 

Riferimenti bibliografici

 

Bonfanti V., Il partenariato pubblico privato alla luce del nuovo codice dei contratti pubblici, in amministrazione in cammino, 20.7.2016.

Cerritelli M., Il Decreto 133/2014 e la nuova disciplina dei project bond, in Diritto bancario, ottobre 2014.

CIPE, Partenariato pubblico privato, 100 domande e risposte, dicembre 2018.

D’Agostino A. e Pauselli F., Project financing e project bond, Maggioli Editore.

Deloitte-LUISS, Gli investimenti in infrastrutture di trasporto, 2017.

Fondazionale Nazionale dei Commercialisti, Il piano economico-finanziario nelle procedure di PPP: orientamenti ANAC, Ragioneria generale dello Stato e Giurisprudenza recente, marzo 2019.

Moro Visconti R., La valutazione delle società veicolo nel project financing, in Banche e Banchieri, n. 5/2005.

Raganelli B., Partenariato pubblico privato, concessioni e gestione dei rischi, Quaderno di Minerva Bancaria, aprile 2019.

Sartori A., I project bond in Italia: problemi e prospettive, Vita e Pensiero.

Tonetti A., Il finanziamento delle infrastrutture, in Giornale di diritto amministrativo, n. 3/2013.

 

Note

 

[1] In Italia la spesa pubblica destinata all’ammodernamento delle infrastrutture, materiali e immateriali, si è fortemente ridotta durante la crisi finanziaria globale e quella dei debiti sovrani. Infatti, tra il 2008 e il 2018 gli investimenti per tale finalità hanno registrato una flessione di oltre 10 miliardi (da 47 a 37 miliardi), che ha aggravato il ritardo rispetto agli altri paesi europei.

[2] L’origine della finanza di progetto risale al 1299 allorché venne stipulato un accordo di finanziamento tra la Corona inglese e i banchieri Frescobaldi per l’estrazione di argento dalle miniere del Davon. L’accordo prevedeva che il Governo britannico realizzasse la miniera, ricevendo la copertura finanziaria dai banchieri fiorentini che sostenevano il interamente il costo dell’opera. Il credito di questi ultimi sarebbe stato coperto dai ricavi derivanti dallo sfruttamento della miniera, a loro riservato per un anno.

[3]A differenza di quanto avviene per gli appalti e le concessioni, il diritto europeo degli appalti pubblici non fornisce una definizione giuridica di project financing, né un’autonoma disciplina.

[4] Data la normale prevalenza del capitale di debito rispetto a quello di rischio, la SPV si caratterizza per un elevato livello di leva finanziaria.

[5] La fase pilota della PBI, iniziata nel 2012 e programmata fino al 2016, prevede la disponibilità di 230 milioni di euro provenienti dal bilancio comunitario, da ripartire su progetti infrastrutturali nei settori del trasporto (fino a 200 milioni), dell’energia (fino a 10 milioni) e dell’information technology (fino a 20 milioni).



Rivista di Diritto Bancario Tidona - www.tidona.com - Il contenuto di questo documento potrebbe non essere aggiornato o comunque non applicabile al Suo specifico caso. Si raccomanda di consultare un avvocato esperto prima di assumere qualsiasi decisione in merito a concrete fattispecie.

Le informazioni contenute in questo sito web e nella rivista "Magistra Banca e Finanza" sono fornite solo a scopo informativo e non possno essere ritenute sostitutive di una consulenza legale. Nessun destinatario del contenuto di questo sito, cliente o visitatore, dovrebbe agire o astenersi dall'agire sulla base di qualsiasi contenuto incluso in questo sito senza richiedere una appropriata consulenza legale professionale, da un avvocato autorizzato, con studio dei fatti e delle circostanze del proprio specifico caso legale.

Cerca nella rivista:

RIVISTA DI DIRITTO BANCARIO

Magistra Banca e Finanza è la Rivista di Diritto Bancario e Finanziario edita da Tidona e Associati. Pubblica dall’anno 1998 approfondimenti e ricerche di diritto bancario e finanziario (Issn – International Standard Serial Number: 2039-7410)

Proponi un articolo alla Rivista

FORUM LEGALE BANCARIO

Argomenti:

Diritto bancario Tidona (781) Diritto Fallimentare e Crisi di impresa (54) Diritto finanziario Tidona (148) Notizie dalla Corte Bancaria (146)

ULTIME PUBBLICAZIONI:

  • PEPP: un nuovo strumento di previdenza complementare

    23 Maggio 2022
  • CASSAZIONE – L’obbligo di astensione dei magistrati in cause bancarie ad essi assegnate – La rilevanza di pattuizioni di favore al magistrato mutuatario della banca

    19 Maggio 2022
  • CASSAZIONE – SEZIONI UNITE: Limiti della consulenza tecnica d’ufficio (C.T.U.)

    15 Maggio 2022
  • CASSAZIONE – Rimessione alle SS.UU.: LEASING – ACCORDO DI INDICIZZAZIONE (elemento speculativo sull’andamento del Libor e del cambio di valuta) – Obblighi di trasparenza

    15 Maggio 2022
  • CASSAZIONE: MUTUO FONDIARIO – Superamento del limite di finanziabilità del mutuo fondiario (art. 38 Tub) – Perdita della natura fondiaria e relativi privilegi

    15 Maggio 2022

Si iscriva alla newsletter di diritto bancario Tidona

Copyright - Studio Legale Tidona e Associati - Diritto Bancario e Diritto Finanziario
  • AVVOCATI
  • SETTORI
  • CASI
  • RIVISTA BANCARIA
  • NEWSLETTER
  • CONTATTI
  • IT
  • EN

 

STUDIO LEGALE TIDONA & ASSOCIATI - P.Iva: IT 05300470969 - Contatti - Privacy

Lo studio assiste banche ed altri intermediari finanziari, fondi ed investitori istituzionali.Veda le nostre attività
+

In questo sito web utilizziamo cookies tecnici necessari per il funzionamento e per la navigazione. Continuando la consultazione di questo sito oppure cliccando su "Consento" presterà il Suo consenso al loro uso. Maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi