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24 Settembre 2020 In Diritto bancario

Recentissima dalla S.C. di Cassazione a SS.UU. in tema di usura degli interessi di mora ed altro

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NOTA a Cass. Civ. – SS.UU., Pres. MAMMONE, Rel. NAZZICONE – Sentenza n. 19597 del 18 settembre 2020

 

Di Gaetano Maria Porretti, Avvocato 

 

In commento una recentissima decisione della S.C. di Cassazione a SS.UU., la cui portata è certamente positiva per le difese delle banche.

La sentenza è articolata ed ampiamente e ben motivata, così che per rendere il presente di più agevole comprensione (e per non sottrarre energie a quelle necessarie per una attenta lettura della sentenza), cercherò di soffermarmi sugli aspetti che ritengo di maggiori rilevanza ed impatto pratico.

Ciò premesso, osservo quanto segue.

 

1. – IL PROLOGO.

Come noto, sulla querelle relativa all’usurarietà (anche) degli interessi moratori, aspramente dibattuta in ogni ambito soprattutto quanto alle conseguenze, fermo il principio dell’assoluta irrilevanza dell’usura “sopravvenuta” così rilevando solo quella “originaria” (Cass. Civ. – SS.UU., sentenza 19 ottobre 2017, n. 24675 – Pres. RORDORF, Rel. DE CHIARA), si erano succedute, di recente ed a brevissima distanza di tempo:

a) Cass. Civ. – Sez. III, Pres. VIVALDI, Rel. D’ARRIGO, Ordinanza 17 ottobre 2019, n. 26286 (da me segnalata e commentata con mia del 22/10/2019);

b) Cass. Civ. – Sez. I, Pres. DE CHIARA, Rel. MERCOLINO, Ordinanza Interlocutoria 22 ottobre 2019, n. 26946 (da me segnalata e commentata con mia del 25/10/2019).

In buona sostanza e davvero in estrema sintesi:

– con la 1^ [sub a)] confermata l’assoggettabilità (anche) degli interessi di mora alle verifiche di usurarietà e (per quanto superfluo) il divieto di “cumulo” (anche in ipotesi di rapporto ancora “aperto” e “ad incaglio” e superando Cass. Civ. – Sez. III, sentenza 30 ottobre 2018, n. 27442, di segno contrario e ritenuta “pericolosa” nella misura in cui evidenziava l’identica natura degli interessi corrispettivi e moratori), si era rilevata comunque la differenza (ontologica, strutturale e funzionale) con gli interessi corrispettivi, sì da non potersi utilizzare sic et simpliciter i criteri di rilevazione di quest’ultimi e trasporli ai primi, anzi, si era data apertura all’utilizzabilità a tali fini della maggiorazione del 2,1%, si era affermata la validità della clausola “di salvaguardia”, si era confermato il principio di una necessaria valutazione “separata” e “coordinata” tra i due tipi di interessi (posto da Cass. Civ. – SS.UU., sentenza 20 giugno 2018, n. 16303 con riferimento alle commissioni di massimo scoperto e valevole anche nel rapporto tra corrispettivi e moratori), si era individuato un “tasso soglia di mora” diverso dal “tasso soglia ordinario” dei corrispettivi (ed ottenuto maggiorando del 2,1% il “T.E.G.M.” determinato giusti i sistemi tempo per tempo vigenti) e confermato il principio “utile per inutile non vitiatur” (Cass. Civ. – Sez 1^, ordinanza 19 settembre 2017, n. 21470, Pres. DOGLIOTTI, Rel. FALABELLA) tale per cui in caso di accertata usurarietà degli interessi moratori erano dovuti comunque i corrispettivi, ovviamente se sotto “soglia” (tutti “principi di diritto” enunciati);

– con la 2^ [sub b)] invece, sollevati i seguenti dubbi: i) se alla stregua del tenore letterale degli artt. 644 c.p. e 2 L. n. 108/96 e relativi lavori preparatori, il principio di simmetria consentisse di escludere l’assoggettamento degli interessi di mora alla normativa antiusura, in quanto non oggetto di rilevazione ai fini della determinazione del TEGM; ii) diversamente, se ai fini della verifica dell’usurarietà degli interessi di mora fosse sufficiente la comparazione con il tasso soglia determinato per gli interessi corrispettivi, oppure se la mera rilevazione del relativo tasso medio imponesse di verificarne l’avvenuto superamento in concreto e con quali modalità; venivano rimessi gli atti al Primo Presidente per eventuale assegnazione alle SS.UU. sul tema.

 

2. – LA SENTENZA DELLE SS.UU.

 

2.1. – LA STRUTTURA.    

La sentenza è così articolata:

  • dopo un’ampia ricostruzione della fattispecie (punti da 1. a 4., pagg. da 2 a 9);
  • e delle tesi contrapposte (punto 5., pagg. da 9 a 15), ovverosia: i) quella “restrittiva” suffragata da ampia Giurisprudenza di Merito, da numerosa Dottrina e dall’ABF; ii) quella “estensiva” suffragata dalla stessa S.C. di Cassazione,
  • nonché dopo una breve disamina in linea generale della tutela del debitore di fronte ad interessi moratori usurari (punto 6., pagg. da 15 a 17),
  • con ampie argomentazioni vengono affrontate le problematiche in concreto, quanto a principi, criteri metodologici di rilevazione ed effetti (punto 7., pagg. da 17 a 32),
  • per poi giungere alla decisione sui motivi di ricorso (punto 8., pagg. 32 a 33)
  • ed all’enunciazione dei principi di diritto (funzione c.d. “nomofilattica”) ai sensi dell’art. 384, comma 1, c.p.c. (punto 9., pagg. 33 e 34).

 

2.2. – GLI ASPETTI PIÙ’ RILEVANTI.

Tralascio, quindi, la riproduzione dei principi di diritto enunciati (punto 9. sentenza) e provo invece a focalizzare l’attenzione su ciò che a mio sommesso avviso appare di maggiore impatto anche pratico (punto 7. sentenza).

 

2.2.a – I CRITERI DI RILEVAZIONE DELLA “SOGLIA” PER GLI INTERESSI DI MORA.

  • Per i contratti conclusi fino al 31/03/2003, il “tasso soglia di mora” coincide con il “tasso soglia dei corrispettivi”, atteso che i DD.MM. anteriori al D.M. 25 marzo 2003 (applicabile alle operazioni di credito dall’01/04/2003) non indicavano la maggiorazione media degli interessi moratori.

Formula: (T.E.G.M. x 1,5).

  • Per i contratti conclusi dall’01/04/2003 (data di entrata in vigore del D.M. 25 marzo 2003) al 30/06/2011, il “tasso soglia di mora” si determina sommando al T.E.G.M. il valore del 2,1 % (maggiorazione media interessi di mora indicata nei DD.MM.), il tutto maggiorato del 50% ex art. 2, comma 4, L. 108/1996 pro tempore vigente.

Formula: (T.E.G.M. + 2,1) x 1,5.

  • Per i contratti conclusi dall’01/07/2011 (data di entrata in vigore del D.M. 27 giugno 2011) al 31/12/2017, il “tasso soglia di mora” si determina sommando al T.E.G.M. il valore del 2,1 % (maggiorazione media interessi di mora indicata nei DD.MM.), il tutto maggiorato di 1/4 + ulteriori 4 punti percentuali ex art. 2, comma 4, L. 108/1996 ut modificato dal D.L. 13 maggio 2011 n. 70 convertito con modificazioni in L. 12 luglio 2011, n. 106.

Formula: (T.E.G.M. + 2,1) x 1,25 + 4.

  • Per i contratti conclusi dall’01/01/2018 (data di entrata in vigore del D.M. 21 dicembre 2017), il “tasso soglia di mora” si determina sommando al T.E.G.M. il valore del 1,9% (per i mutui ipotecari di durata ultraquinquennale) o del 4,1% (per le operazioni di leasing) o del 3,1% (per il complesso degli altri prestiti) (maggiorazioni medie interessi di mora indicate nei DD.MM. a partire dal D.M. 21 dicembre 2017), il tutto maggiorato sempre di 1/4 + ulteriori 4 punti percentuali sempre ex art. 2, comma 4, L. 108/1996 ut modificato dal D.L. 13 maggio 2011 n. 70 convertito con modificazioni in L. 12 luglio 2011, n. 106.

Formula: (T.E.G.M. + 1,9 o 4,1 o 3,1) x 1,25 + 4.

 

2.2.b – LE CONSEGUENZE IN CASO DI ACCERTATA USURARIETA’ DELLA PATTUIZIONE DEGLI INTERESSI DI MORA.

Certamente dando prevalenza alla tesi “restrittiva”, le SS.UU. affermano, lapidariamente, che la usurarietà della clausola sugli interessi di mora non determina nullità anche quella degli interessi corrispettivi (in sostanza riaffermando il principio “utile per inutile non vitiatur”).

Non solo.

Infatti, con una lettura dell’art. 1815, comma 2, cod. civ. oserei dire sistematicamente ed anche costituzionalmente orientata, in linea con i Principi Comunitari e con l’esigenza di un Ordinamento che certamente non potrebbe premiare o favorire un inadempimento delle obbligazioni contrattuali, le SS.UU. affermano anche che, in tal caso deve applicarsi il principio (generale in tema di obbligazioni pecuniarie) di cui all’art. 1224, comma 1, cod. civ. [“Danni nelle obbligazioni pecuniarie”: “Nelle obbligazioni che hanno ad oggetto una somma di denaro, sono dovuti dal giorno della mora gli interessi legali, anche se non erano dovuti precedentemente e anche se il creditore non prova di aver sofferto alcun danno. Se prima della mora erano dovuti interessi in misura superiore a quella legale, gli interessi moratori sono dovuti nella stessa misura (…)”].

Di talchè, data ovviamente la legittimità/liceità almeno della pattuizione degli interessi corrispettivi, il danno da inadempimento o ritardato adempimento (mora) sarà dovuto nella minore misura pari agli interessi corrispettivi.

Al di là di una perfetta coerenza con il sistema, tale principio rende qualcosa in più rispetto a quanto in precedenza affermato dalla S.C. ma a Sezione Semplice (Cass. Civ. – Sez. III, 30 ottobre 2018, n. 27442 – Rel. ROSSETTI, in realtà passata un pò in sordina) che, in caso si rilevata usurarietà della pattuizione degli interessi di mora, sempre ritenuta inapplicabile la sanzione della gratuità della mora, aveva affermato (v. pag. 28, punto 1.11., ultimo periodo) che erano dovuti “[…] gli interessi al tasso legale.”

 

2.2.c – INTERESSE AD AGIRE E TASSI “IN ASTRATTO” ED “IN CONCRETO”.

In ossequio alle esigenze di certezza del diritto (= anche validità ed efficacia delle convenzioni negoziali) le SS.UU. riconoscono in capo al Cliente l’interesse ad agire per far accertare l’usurarietà della pattuizione degli interessi di mora anche in corso di regolare svolgimento del rapporto.

Tuttavia:

  • la sentenza avrà efficacia di mero accertamento dell’usurarietà del tasso (nullità di quella clausola pattuita) “(…) ma in astratto, senza relazione con lo specifico diritto vantato dalla banca, posto che ancora non sarà attuale l’inadempimento ed il finanziatore ancora non avrà preteso alcunchè a tale titolo”;
  • “(…) sarà limitato l’effetto di giudicato di accertamento, non idoneo automaticamente a valere con riguardo alla futura applicazione di un interesse moratorio in concreto, ma solo ad escludere che l’interesse pattuito sia dovuto (…)”;
  • “(…) Realizzatosi l’inadempimento, rileva unicamente il tasso che di fatto sia stato richiesto ed applicato al debitore inadempiente (…)”.

In buona sostanza, rilevando in caso di inadempimento solo il tasso in concreto applicato, la sentenza resa in costanza di regolare svolgimento del rapporto e che accerti l’usurarietà della clausola contrattuale relativa agli interessi di mora, non avrà ancora l’effetto di rendere dovuto a titolo di mora solo un interesse pari al tasso degli interessi corrispettivi lecitamente pattuiti (art. 1224, comma 1, cod. civ.).

Tale effetto potrà verificarsi solo se, verificatosi l’inadempimento, in concreto sia stato utilizzato il tasso rinveniente dalla clausola dichiarata illegittima, ovvero se al momento della mora effettiva, il tasso applicato sulla base della clausola sia sopra soglia.

“Ove il tasso applicato in concreto sia, invece, sotto soglia, esso sarà dovuto, senza che posa farsi valere la sentenza di accertamento mero (…)”.

 

2.2.d – NEI CONTRATTI CONCLUSI CON UN “CONSUMATORE”.

Nei contratti (di finanziamento) conclusi con un Consumatore [art. 3, D. Lgs. n. 206/2005 (“Codice del Consumo”)], le SS.U. in commento prevedono [punto 7. -, par. vii), pagg. da 30 a 32 e relativo principio di diritto posto al punto 9. -, pag. 34], quale ulteriore rimedio il ricorso alla tutela contro le clausole “vessatorie” di cui agli artt. 33, comma 2, lett. f) e 36, comma 1, D. Lgs. citato (già artt. 1469-bis e 1469-quinquies c.p.c.).

In tal caso opera un “cumulo di rimedi, essendo rimesso all’interessato di far valere l’uno o l’altro.”.

Dunque, in ipotesi di usura il Consumatore potrà beneficiare sia della tutela “ordinaria” prevista dalle norme generali sia di quella “specifica” di cui alle norme suddette e che prevedono la c.d. “nullità di protezione” delle clausole “vessatorie”, a proprio vantaggio e rilevabile d’ufficio dal Giudice [cfr. 36, comma 3, D. Lgs. n. 206/2005 (“Codice del Consumo”)].

In ogni caso, sulle questioni implicate da tale “cumulo”, vi è rimessione alla decisione della Prima Sezione Civile, sicché occorrerà attendere la successiva pronuncia che chiarirà anche tali aspetti, ovviamente non potendo eludere i principi generali e di diritto enunciati dalle SS.UU.

 

2.2.e – GLI ONERI PROBATORI.

In richiamo a principi già consolidati, le SS.UU. confermano che, giusto l’art. 2967 c.c.:

  • al debitore (non necessariamente in mora) che assuma l’usurarietà dei tassi ha l’onere di dedurre il tipo di contratto, la clausola negoziale, il tasso moratorio in concreto applicato, l’eventuale qualità di consumatore, la misura del T.E.G.M. nel periodo considerato “(…) con gli altri elementi contenuti nel decreto ministeriale di riferimento”;
  • la controparte dovrà allegare e provare i fatti modificativi o estintivi dell’altrui diritto, fra cui, la pattuizione negoziata della clausola con il soggetto sebbene avente la veste di consumatore, la diversa misura degli interessi di mora applicati o altro.

Pur dedicando una motivazione breve sul punto (verosimilmente in quanto relativa a principi consolidati), vieppiù considerato che il tutto viene confermato anche come principio di diritto enunciato (l’ultimo), a mio sommesso avviso si tratta di un passaggio molto importante.

Infatti, l’aver posto in capo alla parte debitrice degli oneri di allegazione specifici e molteplici, dovrebbe indurre i Giudici di Merito, in caso di mancato o non completo assolvimento di detti oneri, a rigettare la richiesta di C.T.U. che, pertanto, dovrebbe recuperare la sua naturale funzione meramente “deducente”, quindi tesa a verificare la veridicità o meno di quanto doverosamente allegato e dedotto dalla parte.

In tal caso, quindi, dovrebbe venir meno quella tendenza più o meno diffusa a conferire alla C.T.U. un carattere “percipiente”, ovverosia essa stessa “fonte di prova”, cui sin qui si è dato corso spesso con eccessiva disinvoltura, magari facendo leva anche sulla rilevabilità d’ufficio da parte del Giudice della nullità.

 

3. – ANCORA QUALCHE DUBBIO?

 

3.1. – LA CLAUSOLA “DI SALVAGUARDIA”.

Le SS.UU. non affrontano la problematica della validità o meno della clausola “di salvaguardia”, siccome peraltro non oggetto di rimessione [Cass. Civ. – Sez. I, Pres. DE CHIARA, Rel. MERCOLINO, Ordinanza Interlocutoria 22 ottobre 2019, n. 26946 richiamata nel punto 1. -, sub a)].

Sul punto, quindi, ritengo ci si possa ancora giovare di Cass. Civ. – Sez. III, Pres. VIVALDI, Rel. D’ARRIGO, Ordinanza 17 ottobre 2019, n. 26286, richiamata nel punto 1. – [sub a)] e del QUARTO PRINCIPIO DI DIRITTO così ivi:

– enunciato:

“In tema di rapporti bancari, l’inserimento di una clausola “di salvaguardia”, in forza della quale l’eventuale fluttuazione del saggio di interessi convenzionale dovrà essere comunque mantenuta entro i limiti del c.d. “tasso soglia” antiusura previsto dalla L. n. 108 del 1996, art. 2, comma 4, trasforma il divieto legale di pattuire interessi usurari nell’oggetto di una specifica obbligazione contrattuale a carico della banca, consistente nell’impegno di non applicare mai, per tutta la durata del rapporto, interessi in misura superiore a quella massima consentita dalla legge. Conseguentemente, in caso di contestazione, spetterà alla banca, secondo le regole della responsabilità ex contractu, l’onere della prova di aver regolarmente adempiuto all’impegno assunto”;

– motivato:

“La clausola c.d. “di salvaguardia” giova a garantire che, pur in presenza di un saggio di interesse variabile o modificabile unilateralmente dalla banca, la sua fluttuazione non oltrepassi mai il limite stabilito dalla L. n. 108 del 1996, art. 2, comma 4.

Dal punto di vista pratico tale clausola opera in favore della banca, piuttosto che del cliente. Infatti, ai sensi dell’art. 1815 c.c., comma 2, “se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”. La clausola “di salvaguardia”, dunque, assicurando che gli interessi non oltrepassino mai la soglia dell’usura c.d. “oggettiva”, previene il rischio che il tasso convenzionale sia dichiarato nullo e che nessun interesse sia dovuto alla banca.

Nondimeno, la clausola non presenta profili di contrarietà a norme imperative. Anzi, al contrario, essa è volta ad assicurare l’effettiva applicazione del precetto d’ordine pubblico che fa divieto di pattuire interessi usurari. Sebbene la “clausola di salvaguardia” ponga le banche al riparo dall’applicazione della “sanzione” prevista dall’art. 1815 c.c., comma 2, per il caso di pattuizione di interessi usurari (nessun interesse è dovuto), la stessa non ha carattere elusivo, poichè il principio d’ordine pubblico che governa la materia è costituito dal divieto di praticare interessi usurari, non dalla sanzione che consegue alla violazione di tale divieto.

Non vale in contrario quanto ritenuto in altra occasione da questa Corte (Sez. 1, Sentenza n. 12965 del 22/06/2016, Rv. 640109), poichè quella pronuncia ha ad oggetto una ben diversa clausola, che prevedeva l’applicazione del principio solve et repete agli interessi che eventualmente fossero successivamente risultati usurari.

7.3 Dunque, il percepimento di interessi usurari è vietato dalla legge e la relativa pattuizione è nulla. Con la “clausola di salvaguardia” la banca si obbliga contrattualmente ad assicurare che, per tutta la durata del rapporto, non vengano mai applicati interessi che oltrepassino il “tasso soglia”.

La “contrattualizzazione” di quello che è un divieto di legge non è priva di conseguenze sul piano del riparto dell’onere della prova. Infatti, se l’osservanza del “tasso soglia” diviene oggetto di una specifica obbligazione contrattuale, alla logica della violazione della norma imperativa si sovrappone quella dell’inadempimento contrattuale, con conseguente traslazione dell’onere della prova in capo all’obbligato, ossia alla banca.”.

 

3.2. – NEI FINANZIAMENTI, RATE SCADUTE ED RATE A SCADERE E DEBITO RESIDUO DI SEGUITO ALLO SCIOGLIMENTO DEL RAPPORTO.

Qualche perplessità, in realtà, desta il passaggio motivazionale di cui a pag. 28, ultimo periodo, della sentenza, conclusivo del punto 7., par. v).

Infatti, dopo aver premesso che il costo del denaro è ovviamente a carico del finanziato, le SS.UU.:

  • per le rate scadute, confermano che fino alla risoluzione del contratto, valendo il piano di ammortamento sono dovute nella loro interezza “(…) con gli interessi corrispettivi in esse inglobati ed effetto anatocistico, secondo la normativa tempo per tempo vigente (…)” (ed indicata) e purchè, ovviamente, in assenza di usurarietà (dei corrispettivi) e con l’aggiunta degli interessi di mora “(…) sull’intero nella misura dei corrispettivi pattuiti (…)” (ovviamente in caso di usurarietà di quelli di mora pattuiti);
  • per le rate a scadere, “(…) sorge l’obbligo d’immediata restituzione dell’intero capitale ricevuto, sul quale saranno dovuti gli interessi corrispettivi, ma attualizzati al momento della risoluzione: infatti, fino al momento in cui il contratto ha avuto effetto, il debitore ha beneficiato della rateizzazione, della quale deve sostenere il costo, pur ricalcolato attualizzandolo, rispetto all’originario piano di ammortamento non più eseguito; da tale momento e sino al pagamento, vale l’art. 1224, comma 1, c.c.”.

Tale ultimo passaggio evidenziato in grassetto è un punto (l’unico) un po’ oscuro di una sentenza per il resto e come detto più che pregevole, nella forma e nella sostanza.

Pertanto e con tutte le riserve del caso, provo a fornire la mia interpretazione.

Ribadito che le SS.UU. hanno escluso che il Nostro Ordinamento possa concepire o tollerare un sistema che favorisca o premi l’inadempimento nelle obbligazioni, il nodo è come calcolare il debito residuo successivo al venir meno del contratto ed al piano di ammortamento (rate a scadere), con l’attualizzazione al momento della risoluzione degli interessi corrispettivi [ribadito che su tale debito residuo alla data della risoluzione “(…) e sino al pagamento vale l’art. 1224, comma 1, c.c.” = si applicano gli interessi di mora, contrattuali (se non usurari), in concreto applicati (se al momento non usurari), extrema ratio in misura pari ai corrispettivi].

Premesso che, risolto il contratto e venuta meno la rateizzazione ed il benefico del termine il piano di ammortamento nella sua interezza non può più essere considerato, se sorge “(…) l’obbligo di immediata restituzione dell’intero capitale ricevuto (…)”, dovrebbe sommarsi la quota capitale di tutte le rate come da piano di ammortamento (letteralmente, “l’intero capitale ricevuto”), ovvero e se non altro la quota capitale delle rate non scadute (così intendendosi meno letteralmente “l’intero capitale ricevuto” ma in relazione a “per quanto attiene le rate a scadere”).

Sull’importo così (alternativamente) ricavato, poi, l’attualizzazione gli interessi corrispettivi dovuti al momento della risoluzione, a mio sommesso avviso non potrebbe prevedere quale dies a quo la risoluzione stessa, perché coincidente con il dies ad quem, così di fatto neutralizzandola.

Sul predetto importo così (alternativamente) ricavato, quindi, l’attualizzazione gli interessi corrispettivi dovuti al momento della risoluzione, a mio sommesso avviso dovrebbe prevedere quale dies a quo il momento della stipula e, quale dies ad quem, quello della risoluzione del contratto.

Sull’importo complessivamente ottenuto (capitale + interessi corrispettivi attualizzati), poi, “da tale momento” (risoluzione del contratto) “(…) e sino al pagamento, vale l’art. 1224, comma 1, c.c.” = si applicano gli interessi di mora, contrattuali (se non usurari), in concreto applicati (se al momento non usurari) extrema ratio in misura pari ai corrispettivi (purchè non usurari).

In buona sostanza, il finanziatore (banca) e sempre per le rate a scadere perde la quota di interessi corrispettivi per queste previste nel piano di ammortamento, ma la recupera con la suddetta attualizzazione.

Solo in questo modo, a mio sommesso avviso, il finanziato sopporta il costo del denaro e non beneficia del proprio inadempimento.

Ma il tema necessita di ulteriori approfondimenti.

 

  1. – CONCLUSIVAMENTE.

Pur in attesa di quanto sarà deciso dalla Sezione I in sede di rinvio sulle suddette questioni non decise e pur con le perplessità testè evidenziate, ribadisco che trattasi di una decisione importante e che, per come ampiamente motivata, dovrebbe un pò diradare le molte nebbie cui ciascuno di Noi sin qui è incorso.

Pertanto, nei giudizi ove si è già dato corso a C.T.U. su quesiti un po’ più trancianti in caso di rilevata usurarietà, mi permetto di consigliare di chiederne un supplemento/integrazione, alla luce dei diversi principi enunciati e motivati dalle SS.UU.

Invece, nei giudizi che ancora attendono la decisione sull’ammissibilità della C.T.U., ovviamente ci si dovrà opporre, vieppiù se la Controparte non avrà puntualmente assolto ai propri oneri e, in caso di ammissione, chiedere che i quesiti siano rispettosi dei suddetti principi enunciati e motivati dalle SS.UU..

Salve le questioni sin qui evidenziate e comunque ancora da risolversi.

 



Rivista di Diritto Bancario Tidona - www.tidona.com - Il contenuto di questo documento potrebbe non essere aggiornato o comunque non applicabile al Suo specifico caso. Si raccomanda di consultare un avvocato esperto prima di assumere qualsiasi decisione in merito a concrete fattispecie.

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