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21 Febbraio 2005 In Diritto bancario Tidona

Risarcimento del danno alla persona negli aspetti non reddittuali: estesione dell’operatività dell’art. 2059 c.c.

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Di Cecilia Trevisi, Avvocato
21 febbraio 2005

Le sentenze emesse dalla Suprema Corte nel maggio del 2003 (7281/03, 7282/03, 7283/03, n. 8827/03 e 8829/03) consentono un ampliamento delle ipotesi di risarcimento dei danni alla persona, nei suoi aspetti non reddituali, per il fatto illecito altrui.

Orientamento precedente.

Prima di tali pronunce, la Giurisprudenza era uniformemente orientata nel ritenere che i danni “non patrimoniali” ex art. 2059 c.c. erano quei danni derivanti dal transeunte turbamento del soggetto (pecunia doloris), finendo così per corrispondere unicamente ai danni morali soggettivi.

Gli altri profili di danno non patrimoniale (ad es. il danno biologico) venivano ricondotti sotto il “mantello” dell’art. 2043 c.c. che, essendo norma in bianco, combinandosi con i principi fondamentali della Carta Costituzionale (ad es. con l’art. 32 Cost.) ne consentiva il risarcimento.

Il risultato era, dunque, uno solo: il combinato disposto dell’art. 2043c.c. con i principi costituzionali permetteva il risarcimento del danno biologico e del danno esistenziale, l’art. 2059 c.c., invece, era limitato alla liquidazione dei danni morali.

Ulteriore limite nell’applicazione dell’art 2059 c.c., prima delle sopra indicate pronunce della Corte di Cassazione, risiedeva nella riserva di legge contenuta nel precetto normativo secondo cui “il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge”. Riserva che si esplicava nel solo art. 185c.p. e 89 c.p.c., con la conseguenza che la liquidazione dei danni ex art. 2059 c.c. scattava solamente se il fatto lesivo integrava una fattispecie di reato.

Nuovo orientamento.

Le novità introdotte dalle sentenze della Corte di Cassazione n. 7281/03, 7282/03, 7283/03, 8827/03 e 8829/03 hanno condotto, come accennato precedentemente, ad un’estensione dell’applicazione dell’art. 2059 c.c. sotto due distinti profili.

Primo profilo

Il trittico di sentenze del maggio del 2003 della Suprema Corte (7281/03, 7282/03 e 7283/03) ha finalmente abbattuto la barriera secondo cui presupposto per il risarcimento dei danni non patrimoniali ex art. 2059 c.c. era il positivo accertamento di un reato e cioè l’accertamento della colpa dell’agente del fatto illecito. Barriera, questa, che non consentiva la liquidazione dei danni ex art. 2059 c.c. nei casi in cui la responsabilità dell’autore del fatto illecito non fosse accertabile in concreto ma solamente in via presuntiva (come accade nelle ipotesi disciplinate negli artt. 2050 e ss. del c.c.).

Le sentenze n. 7281/2003, 7282/2003 e 7283/2003 hanno finalmente eliminato tale ostacolo riconoscendo che “alla risarcibilità del danno non patrimoniale ex artt. 2059 c.c. e 185 c.p. non osta il mancato positivo accertamento della colpa dell’autore del danno se essa, come nei casi di cui all’art. 2054 c.c., debba ritenersi sussistente in base a una presunzione di legge e se, ricorrendo la colpa, il fatto sarebbe qualificabile come reato”.
Secondo profilo

Le sentenze della Corte di Legittimità n. 8827/2003 e 8828/2003 hanno consentito un’ulteriore estensione applicativa dell’art. 2059 c.c. sotto altro profilo e, più precisamente, sotto l’aspetto della riserva di legge contenuta nel precetto normativo.

Come accennato precedentemente, l’art. 2059 c.c. riconosce la liquidazione dei danni non patrimoniali nei soli casi determinati dalla legge che, secondo l’originaria interpretazione corrispondeva alle sole ipotesi di reato ex art 185 c.p..

La Corte di Cassazione in queste due pronunce ha cercato di imprimere una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. e, dunque, ha riconosciuto il risarcimento dei danni non patrimoniali in tutte le ipotesi in cui il fatto illecito viola un valore costituzionalmente garantito della persona indipendentemente dalla circostanza che il fatto integri un’ipotesi di reato.

Questa lettura costituzionalmente orientata conduce il sistema del risarcimento del danno alla persona per fatto illecito ad un modello “bipolare” e cioè, composto dal danno patrimoniale (nelle sue voci di “danno emergente” e “lucro cessante”) e dal danno non patrimoniale in cui confluiscono: il danno biologico (lesione dell’integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico legale), il danno morale soggettivo (derivante da reato, consistente nella pecunia doloris) e i pregiudizi diversi ed ulteriori (purché costituenti conseguenza della lesione di un interesse costituzionalmente protetto indipendentemente dalla configurabilità del fatto come reato).

Si badi, che il rischio paventato da un siffatto sistema è la duplicazione del risarcimento dello stesso pregiudizio, il giudice, dunque, nel liquidare in via equitativa i pregiudizi ulteriori, dovrà tenere conto di quanto già eventualmente riconosciuto come danno morale soggettivo.

Altro e distinto problema connesso al risarcimento dei danni non patrimoniali per la lesione di diritti costituzionalmente qualificati lesi dal fatto illecito altrui, consistente proprio nell’individuazione di tali valori personali. Rientrano in questa categoria: l’ingiusta privazione della libertà personale nell’esercizio delle funzioni giudiziarie ex art. 2 l. 117/88, la violazione del processo con durata ragionevole ex art. 2 l. 89/01, la violazione del diritto al trattamento dei dati personali ex art. 27 l. 675/96 e la violazione dei più “tradizionali” diritti alla personalità (onore, immagine…).

In ragione di quanto analizzato, si può concludere osservando che i recenti interventi della Corte di Cassazione, in materia di risarcimento del danno non patrimoniale, hanno reso possibile il superamento del dogma dell’illecito penale racchiuso nell’art. 2059 c.c., tuttavia solo le vicende pratiche sapranno svelare la portata del “nuovo” 2059 c.c.



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