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13 Giugno 2013 In Diritto bancario, Diritto Fallimentare e Crisi di impresa

Sistemi di garanzia dei depositanti e rapporti tra intervento dei fondi e liquidazione coatta amministrativa

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Di Antonio Cavallo, Avvocato

13 giugno 2013

I sistemi di garanzia dei depositanti in Italia, con riferimento al quadro comunitario

“L’assicurazione dei depositi costituisce, accanto all’attività di vigilanza e al meccanismo di credito di ultima istanza, una delle componenti fondamentali su cui si fonda la rete di sicurezza tesa ad assicurare la stabilità del sistema bancario. Si riconosce e si tutela in tal modo la funzione sociale del risparmio e la funzione monetaria dell’intermediazione bancaria. Scopo della garanzia dei depositi è offrire tutela al cosiddetto risparmiatore inconsapevole, inteso come colui che non ha facile accesso alle informazioni necessarie per valutare appieno lo stato di salute dei soggetti cui affida il proprio risparmio” [1].

Nel nostro Paese operano il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (FITD) e, per le banche di credito cooperativo, il Fondo di Garanzia dei Depositanti del Credito Cooperativo (FGC). Essi sono consorzi di diritto privato, riconosciuti dalla Banca d’Italia, cui compete l’attività di supervisione, tanto che essa è abilitata a comunicare le informazioni in suo possesso – relativamente al monitoraggio delle banche aderenti – ai sistemi di garanzia, in deroga al segreto d’ufficio. L’obbligo di aderire ad un sdg è rivolto sia alle banche italiane che alle succursali extracomunitarie operanti in territorio nazionale, a meno che esse non abbiano già aderito ad un analogo sdg estero. Le succursali comunitarie, obbligate ad aderire ad un sdg del Paese di provenienza, possono tuttavia aderire anche ad un sdg del Paese ospitante al solo scopo di “integrare la tutela offerta dal sistema di garanzia dello stato di appartenenza” [2].

La Direttiva 94/19 CE, recepita in Italia con il D.lgs 659/96, e successivamente modificata con la Direttiva 2009/14 CE, recepita col D.lgs 49/2011, ha disciplinato i sistemi di garanzia europei con lo scopo di tutelare sia la funzione sociale del risparmio che la funzione monetaria dell’intermediazione bancaria. Il fondo consiste in un accantonamento contabile, pari a 100.000 euro per depositante, e in un patto di solidarietà fra istituti di credito, che si impegnano a intervenire uno in soccorso dell’altro, nelle misure stabilite, ma non vi sono accantonamenti reali di denaro o di titoli messi a disposizione di un soggetto gestore del fondo.

Il mancato assolvimento dell’obbligo di adesione ad un sdg comporta in Italia la revoca dell’autorizzazione all’attività bancaria con eventuale disposizione di liquidazione coatta amministrativa, a norma dell’art. 96-quater del TUB. La direttiva 94/19/CE prescrive, più genericamente, il conseguente divieto di raccogliere depositi.

Lo stretto collegamento fra attività bancaria e obbligo di adesione ad un sdg ha generato in dottrina diverse interpretazioni sulla sostanza del rapporto intrinseco tra le fattispecie. Sembra dirimente l’osservazione che si fonda sulla necessità di distinguere a priori tra condizioni per ottenere l’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria e condizioni per l’esercizio della stessa [3]. Poiché l’adesione sembra rientrare tra le seconde condizioni, l’autorizzazione all’attività potrebbe essere rilasciata prima di essa, che pure diventa condicio sine qua non per l’esercizio effettivo dell’attività bancaria.

Gli istituti di credito non possono, per legge, essere ammessi al fallimento. La procedura ad hoc, nel caso di grave crisi di un istituto finanziario, consiste nella dichiarazione di stato d’insolvenza da parte della Banca d’Italia, la quale avvia anche l’iter dell’amministrazione controllata o la liquidazione coatta amministrativa, autorizzando nel contempo l’intervento del fondo al fine di risarcire le somme agli investitori.

Come noto, le banche possono rivolgersi alla banca centrale per ottenere liquidità, sebbene questo tipo di intervento, a certe condizioni, possa comportare una distorsione del mercato e dei meccanismi concorrenziali. L’applicazione delle regole di concorrenza al settore dei servizi finanziari ha da sempre posto la questione di definire un delicato equilibrio tra differenti, e spesso contrastanti, interessi pubblici: l’esigenza delle imprese di integrarsi e cooperare per operare in un mercato europeo unico, l’esigenza che investitori e risparmiatori siano tutelati e possano con fiducia operare nel mercato e infine l’interesse di evitare distorsioni della concorrenza che pregiudichino il funzionamento del sistema bancario nel suo complesso [4] . Si tratta sostanzialmente dell’interesse alla stabilità e alla solvibilità finanziaria del sistema bancario da una parte, e alla libera concorrenza dall’altro, argomento che sarà successivamente approfondito.

I sistemi di garanzia e l’attività di vigilanza rivestono un ruolo fondamentale e parallelo, sia pure nell’ambito di specifiche competenze operative, in un “delicato equilibrio che lega gli interessi che muovono l’azione dell’Autorità amministrativa a quelli propri delle banche aderenti al sistema di garanzia … Nello stesso tempo, peraltro, la correlazione tra fondi di garanzia dei depositi e Autorità di vigilanza si scontra, nel contesto italiano, con la constatazione dei rilevanti poteri riservati alla Banca d’Italia in sede di vigilanza e gestione della crisi dell’impresa bancaria, e con i relativamente modesti, se non addirittura inesistenti, poteri di controllo riconosciuti ai sistemi di garanzia. La disciplina, sia normativa sia statutaria, dei sistemi di garanzia dei depositi depone inequivocabilmente in questo senso” [5].

E, infatti, all’art. 96-ter del già citato T.U.B. vengono riconosciuti alla Banca d’Italia poteri molteplici afferenti a:

riconoscimento dei sistemi di garanzia, di cui approva gli statuti;

coordinamento delle loro attività con la disciplina delle crisi bancarie e con l’attività di vigilanza;

disciplina delle modalità di rimborso;

autorizzazione degli interventi dei sistemi di garanzia e all’esclusione delle banche dai sistemi stessi;

verifica che la tutela da parte dei sistemi di garanzia esteri delle succursali italiane autorizzate di banche extracomunitarie sia equivalente alle garanzie dei sistemi italiani;

disciplina della pubblicità che le banche sono tenute ad attuare per informare i depositanti sul sistema di garanzia cui aderiscono e sull’inclusione delle singole tipologie di credito nella garanzia stessa;

procedure di coordinamento con le autorità competenti degli altri Stati membri relativamente all’adesione di banche comunitarie ad un sistema di garanzia italiano e alla loro esclusione dallo stesso;

emanazione di disposizioni attuative delle norme contenute nell’articolo del T.U.B.

L’elencazione di tante e tali prerogative sembra connotativa di una volontà del legislatore italiano di privare i sistemi di garanzia di una propria autonomia operativa, configurandoli come strumenti della Banca d’Italia per gestire e risolvere le crisi bancarie. “Poiché, tuttavia, tale impostazione è in assoluto contrasto con quanto disposto dalla dir. 1994/19/CE e dallo stesso TUB, è necessario trovare un punto di equilibrio tra l’esercizio di dette funzioni (o di alcune di esse) da parte della BI e la permanenza dell’autonomia in capo ai sdg” [6].

E, d’altronde, alla luce dei recenti accordi della Commissione europea in materia di autorità di vigilanza unica affidata alla BCE, sia pure in coordinamento con le autorità nazionali, bisogna osservare che potrebbe rendersi necessaria una revisione dell’art. 96-ter, dal momento che, a partire “dal 1° marzo 2014 la BCE assumerà, nel quadro del meccanismo di sorveglianza unico, i poteri di vigilanza diretta sulle banche che hanno attivi per almeno 30 miliardi o un patrimonio almeno pari al 20% del Pil del Paese (secondo fonti informali 187 banche su un totale di 6.000 attive nell’eurozona). Le banche sotto quella soglia resteranno sotto la diretta vigilanza delle autorità nazionali, ferma restando la facoltà di avocazione e la responsabilità ultima della BCE” [7].

Ciò avrà probabilmente delle ricadute anche sui sistemi di garanzia nazionali e sui loro rapporti con la BI, tenendo conto della previsione di istituire un meccanismo unico europeo per la risoluzione delle crisi bancarie nell’area dell’euro (e per quei Paesi aderenti al sistema di vigilanza unico) e per il coordinamento dell’applicazione degli strumenti di risoluzione alle banche. La Commissione, infatti, intende presentare una proposta legislativa al riguardo dopo l’approvazione di quelle relative alla vigilanza e ai sistemi nazionali di risanamento e risoluzione. Non sono da trascurare, infine, gli effetti derivanti dagli accordi internazionali di Basilea II e, con maggiore incisività e precisione, dallo schema di regolamentazione internazionale per il rafforzamento delle banche e dei sistemi bancari pubblicato nel dicembre 2010, con aggiornamento al giugno 2011, dal Comitato di Basilea III.

2 I rapporti tra intervento dei fondi di garanzia e procedura di liquidazione coatta amministrativa

Il decreto legislativo 385/1993, e successive modificazioni (TUB) disciplina le procedure di gestione delle crisi delle banche e dei gruppi bancari nel Titolo IV, Capi I e II.

La liquidazione coatta amministrativa è una procedura simile a quella fallimentare, ma se ne differenzia per l’organo competente a disporla (autorità amministrativa al posto del tribunale), e per i presupposti necessari per l’adozione del provvedimento di liquidazione. In questo caso, infatti, è necessario che si verifichino alcuni presupposti previsti dalla leggi speciali che non si limitano al solo stato d’insolvenza e che non devono necessariamente essere presenti tutti insieme, ma anche singolarmente: stato d’insolvenza; violazione di norme o atti amministrativi che comportino gravi irregolarità di gestione; ragioni di pubblico interesse [8].

Il primo obiettivo della disciplina speciale applicabile alle banche e ai gruppi bancari è costituito, come si è già rilevato, dalla tutela del risparmio, anche per il forte impatto sociale delle crisi sui diversi soggetti coinvolti.

“La legge fallimentare trova applicazione, se compatibile, solo per quanto non espressamente previsto dal TUB. Nei casi di liquidazione coatta amministrativa i sistemi di garanzia dei depositanti, ai quali le banche italiane sono tenute ad aderire, effettuano i rimborsi nel limite di 100.000 euro per ciascun depositante” [9].

Gli interventi dei sistemi di garanzia, conseguentemente sia alla legislazione vigente sia ai loro stessi statuti, possono essere di due tipi: obbligatori e facoltativi. Ma in presenza di procedimento di liquidazione coatta amministrativa gli interventi sono obbligatori, a norma dell’art. 96-bis del TUB, che stabilisce anche modalità, entità e tempi di rimborso ai depositanti. Tutti i crediti attinenti ai fondi che la banca in liquidazione coatta amministrativa aveva precedentemente acquisito con obbligo di restituzione, compresi assegni circolari e altri analoghi titoli di credito vengono ammessi al rimborso, che dovrà essere effettuato entro tre mesi dalla data del provvedimento di liquidazione, salvo proroga fino a nove mesi da parte della BI in casi eccezionali. Tuttavia, la più recente direttiva 2009/14/CE ha modificato, abbreviandoli, i tempi utili per il rimborso al fine di salvaguardare la fiducia dei depositanti ed evitare un possibile bank run da parte degli stessi. E, infatti, i tre mesi vengono ridotti a venti giorni dall’art. 10, par. 1 della Direttiva e le eventuali proroghe eccezionali sono ridotte a dieci giorni, anche perché i tempi per la procedura di liquidazione coatta amministrativa dilatavano eccessivamente l’accesso al rimborso, per cui il sdg reperisce in autonomia la documentazione relativa all’ammissibilità al rimborso dei depositanti e lo effettua nei termini previsti senza attendere l’ammissione al passivo da parte dei liquidatori. Nell’art. 27, comma 6, giugno 2012, dello statuto FITD vengono recepiti, per l’appunto, i nuovi termini di scadenza.

Inoltre, nel nostro Stato, a causa della perdurante crisi finanziaria, è stata prevista una garanzia statale temporanea di 36 mesi di rimborso per i depositi delle banche italiane, ad integrazione di quella offerta dai sdg [10].

Il più volte citato art. 96-bis del T.U.B. afferma, in modo piuttosto sibillino, che “i sistemi di garanzia possono prevedere ulteriori casi e forme di intervento”, ma non è chiaro se tali interventi debbano considerarsi integrativi o alternativi a quelli obbligatori previsti dall’articolo stesso. In dottrina, l’ipotesi più diffusa è che essi siano da considerarsi integrativi sia per riflessioni di carattere logico-sistemico sia per l’interpretazione letterale della frase [11].

I destinatari degli interventi di garanzia sono i cosiddetti piccoli risparmiatori inconsapevoli, coloro –si è già detto- che non avrebbero mai avuto la possibilità di conoscere e valutare la solidità della banca cui avevano deciso di affidare i loro depositi; inoltre, “le somme dovute dal Fondo ai depositanti non sono fruttifere di interessi” [12].

Il Legislatore non fornisce una vera e propria definizione di “piccolo risparmiatore inconsapevole”, ma il concetto può essere desunto abbastanza verosimilmente dagli enunciati degli artt. 10 e 11 del T.U.B., in cui viene chiarita la nozione di attività bancaria e di raccolta del risparmio[13].

La tutela del Fondo, infatti, riguarda esclusivamente i crediti non esclusi ai sensi del comma 2, che possono essere fatti valere nei confronti della consorziata in liquidazione coatta amministrativa, secondo quanto previsto dal TUB.

E proprio dall’elenco delle esclusioni è ricavabile che il tipo di

rapporto instaurato con la banca marca il limite tra consapevolezza e inconsapevolezza del risparmiatore, intendendosi come fondi rimborsabili tutti i saldi creditori risultanti da negozi, non esclusivamente riconducibili al deposito, che diano quanto meno al risparmiatore il diritto alla restituzione di una quantità di mezzi monetari pari a quella dal medesimo consegnata [14].

Tuttavia, il Fondo, in alternativa al rimborso dei depositanti di cui all’art. 27, può intervenire in operazioni di cessione di attività e passività, di azienda, di rami di azienda nonché di beni e rapporti giuridici individuabili in blocco. ove sia prevedibile un minor onere.

A partire dagli anni ’70, questo tipo di interventi si è largamente diffuso attraverso l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi. “Il sistema pare, dunque, orientarsi verso soluzioni della crisi d’impresa che consentano, attraverso una sostituzione tout court del soggetto titolare, di riassorbire all’interno dello stesso settore nel quale egli operava gli effetti nefasti scaturenti dall’uscita traumatica dal circuito economico di un centro di imputazione di atti ed effetti giuridici”[15].

[1] Da www.fitd.it

[2] D. Lgs. 659/96, art. 96, commi 1, 2 e 3.

[3] Cfr. D. Vattermoli, I sistemi di garanzia dei depositanti, in Il fallimento e le altre procedure concorsuali, diretto da L. Panzani, Torino 2000, p. 494.

[4] R. Costi, L’ordinamento bancario, Bologna, 2007, p. 701.

[5] D. Vattermoli, Le cessioni “aggregate” nella liquidazione coatta amministrativa delle banche, Giuffrè 2001, p.111.

[6] I. Mecatti, Art. 96-ter Poteri della Banca d’Italia, in Testo Unico Bancario, Commentario, cit., p. 784.

[7] Da www.camera.it – Parlamento Italiano

[8] In www.dirittoprivatoinrete.it

[9] Dal sito ufficiale della Banca d’Italia, http://www.bancaditalia.it/ , cit.

[10] V. D. Lgs. 155/2008, art. 4, in G.U. n. 237/2008.

[11] Cfr. D. Vattermoli, Le cessioni cit., p. 113.

[12] Statuto FIDT, art. 27, comma 7, giugno 2012

[13] Cfr. M. Porzio, in Enciclopedia del Diritto, alla voce Banca e attività bancaria, Milano 2000

[14] Cfr. R. Cercone, sub art. 96, in Commentario al Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, Padova 2001, p. 763.

[15] D. Vattermoli, Le cessioni cit., p. 7.



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