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Cultore della materia in Diritto dell’ambiente presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università LUISS Guido Carli di Roma
Il cambiamento climatico è “il più grande fallimento del mercato che il mondo abbia mai sperimentato”, scriveva Nicholas Stern, autore del Rapporto omonimo sui cambiamenti climatici pubblicato nel 2006. Da allora, si sono susseguiti eventi a conferma di quanto da egli affermato: per citare solo i più recenti, la pandemia e la crisi energetica.
Tutto ciò ha portato ad una crescente presa di consapevolezza sul ruolo della sostenibilità. Se ne è parlato poco, eppure è da poco intervenuta, proprio in materia ambientale, la prima riforma costituzionale dei principi fondamentali della Carta fondamentale con l’inserimento, nell’art. 9, della “tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”.
Non solo, il riformulato art. 41 stabilisce che l’iniziativa economica privata è libera, ma non può svolgersi in modo da re care danno – tra gli altri – all’ambiente.
Anche la regolamentazione in materia bancaria e di attività d’impresa è sempre più orientata ad intervenire sui temi di sostenibilità ESG (environmental-social-governance), specie con riferimento al rischio climatico. Il tratto che contraddistingue la nuova regolamentazione è chiedere alla banca di farsi carico di rafforzare i sistemi di valutazione del rischio climatico, nell’ottica di favorire il percorso di transizione ecologica.
Dalla normativa, derivano per le banche maggiori responsabilità, poiché sono chiamate a valutare il rischio climatico, indirizzando la propria attività di prestito a garantire la tutela dell’ambiente.
Si chiede cioè alle banche di farsi carico – attraverso l’erogazione del credito – di obiettivi di ordine più generale rispetto a quelli tradizionali di politica monetaria.
Nell’ambito dell’EU Green deal, finalizzato a favorire un’allocazione del capitale verso investimenti sostenibili, sono compresi vari pacchetti regolatori: dalla nota tassonomia ambientale – vale a dire criteri armonizzati per stabilire se un’attività economica è sostenibile dal punto di vista ambientale – alle direttive in materia di reporting ESG sia per gli operatori finanziari (Sustainable Finance Disclosure Regulation), sia per le imprese (Corporate Sustainability Reporting Directive). A ciò si aggiungano le iniziative dell’European Banking Authority (EBA), come l’Action Plan EBA sulla finanza sostenibile dell’ottobre 2019, che definisce una sorta di roadmap per l’inclusione dei principi di sostenibilità nel settore bancario e finanziario.
E ancora, nel giugno 2021 è apparso il Rapporto EBA sulla gestione e la supervisione dei rischi ESG, che delinea definizioni comuni ed identifica metodi di valutazione idonei ad un efficace processo di gestione dei medesimi. In siffatto quadro normativo, si colloca anche lo stress test climatico condotto dalla BCE nel primo semestre del 2022. È stato più che altro una specie di “esercizio di apprendimento” finalizzato a migliorare la capacità delle banche e delle Autorità di vigilanza a valutare il rischio climatico.
A differenza di quanto avviene di norma per gli stress test, i risultati ottenuti non avranno alcun impatto diretto sui requisiti di capitale. Però, nello stesso tempo, suggeriscono che sono necessari interventi in numerose aree.
Tra queste, la definizione di strategie di allocazione del credito a lungo termine che riflettano i diversi scenari di transizione, la predisposizione di un adeguato set informativo non basato su proxy, ma su una massiccia raccolta di dati ESG direttamente dalle controparti, l’adozione di una solida struttura di governance sul rischio climatico.
Rimanendo in tema di iniziative che le banche stanno intraprendendo in tema climatico, sono da menzionare le novità della normativa prudenziale ai fini dell’informativa al pubblico sui rischi ESG che prevede, a partire dalla fine dello scorso anno, la pubblicazione del c.d. Pillar 3 di informazioni relative alle azioni di mitigazione del cambiamento climatico: dalle informazioni qualitative sul rischio ESG, di transizione e fisico, fino ad arrivare ai ratio sulle azioni di mitigazione, quali il noto “Green Asset Ratio”, relativo al volume di attività “verdi” all’interno dei bilanci delle banche e dei loro portafogli.
Un processo avviato con decisione, e che è fondamentale continuare nonostante le preoccupazioni indotte dalla crisi energetica, con la definizione di metriche ESG affidabili e confrontabili e la raccolta di dati anche a livello di piccole e micro imprese. Senza tralasciare l’intersezione tra sostenibilità ambientale e sociale, per evitare che la transizione ecologica alimenti ulteriori disuguaglianze a scapito della sostenibilità sociale.
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