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22 Febbraio 2021 In Diritto bancario

Sul diritto alla rettifica dei saldi di conto corrente. Brevi riflessioni su Cass. n. 3858 del 15 febbraio 2021

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Cass. Civ. – Sez. I, Pres. DE CHIARA, Rel. FIDANZIA – Ordinanza 15 febbraio 2021, n. 3858.

Di Gaetano Maria Porretti, Avvocato

 

  1. – LA PRONUNCIA IN COMMENTO.

Secondo tale pronuncia (e per quanto di interesse sul tema):

  • “non esiste un diritto alla rettifica del conto autonomo rispetto al diritto di far valere la nullità, annullamento, rescissione o risoluzione del titolo a base dell’annotazione nel conto stesso. L’annotazione nel conto non è altro che la rappresentazione contabile di un diritto, non un diritto a sè; allorchè il titolo (generalmente negoziale) alla base di quel diritto viene dichiarato nullo oppure viene annullato, rescisso o risolto, viene meno il diritto stesso, e conseguentemente la nuova realtà giuridica trova una corrispondente rappresentazione contabile.”;
  • “È evidente quindi che ove venga dedotta la nullità del titolo in base al quale gli interessi sono stati annotati, essendo l’azione di nullità imprescrittibile a norma dell’art. 1422 c.c., l’operazione di rettifica sul conto non può essere sottoposta ad un termine predefinito, essendo legata inscindibilmente all’esito ed agli effetti dell’azione di nullità proposta, con la conseguenza che la rettifica del conto avrà sempre necessariamente luogo, senza limiti di tempo, in caso di accoglimento dell’azione di nullità che abbia dichiarato l’illegittimità del titolo su cui si è fondata l’annotazione sul conto.”

A tale conclusione, per lo più fondata sull’art. 1827 c.c. (“Effetti dell’inclusione nel conto”, che così testualmente recita: “1. L’inclusione di un credito nel conto corrente non esclude l’esercizio delle azioni ed eccezioni relative all’atto da cui il credito deriva. 2. Se l’atto è dichiarato nullo, annullato, rescisso o risoluto, la relativa partita si elimina dal conto.”) si perviene sulla base dei seguenti “passaggi” contenuti nella motivazione delle seguenti, arcinote sentenze:

  • Civ. – Sez. Un., sentenza 2 dicembre 2010, n. 24418: “il correntista potrà naturalmente agire per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell’addebito si basa e, di conseguenza, per ottenere una rettifica del conto in suo favore delle risultanze del conto stesso”;
  • Corte Cost., sentenza 5 aprile 2012, n. 78: “In proposito, si deve osservare che non è esatto (come pure è stato sostenuto) che con tale espressione (diritti nascenti dall’annotazione in conto corrente, n.d.r.) si dovrebbero intendere i diritti di contestazione, sul piano cartolare, e dunque di rettifica o eliminazione delle annotazioni conseguenti ad atti o negozi accertati come nulli, ovvero basati su errori di calcolo. Se così fosse, la norma sarebbe inutile, perchè il correntista può sempre agire per far dichiarare la nullità – con azione imprescrittibile (art. 1422 c.c.) – del titolo su cui l’annotazione illegittima si basa, e, di conseguenza, per ottenere la rettifica in suo favore delle risultanze del conto…”.

Dunque, secondo la decisione in commento la “rettifica” delle annotazioni in conto corrente, “non essendo altro che la rappresentazione contabile di un diritto, non un diritto a sé”, può avvenire “senza limiti di tempo” per effetto del venir meno del titolo su cui fondano.

 

  1. – RIFLESSIONI E CRITICITÀ.

Viene da chiedersi come si coniughino davvero i principi in essa enunciati, con i principi posti:

  • da un lato, proprio da Civ. . Sez. Un., sentenza 2 dicembre 2010, n. 24418, richiamata in motivazione;
  • dall’altro, dall’art. 1422 c.c. (“Imprescrittibilità dell’azione di nullità” che, giova ricordare, così testualmente recita: “L’azione per far dichiarare la nullità non è soggetta a prescrizione, salvi gli effetti dell’usucapione e della prescrizione delle azioni di ripetizione”).

Infatti, non vi è dubbio che se l’azione di nullità è imprescrittibile, si prescrivono le relative azioni di ripetizione cui certamente in via diretta o indiretta (petitum “immediato” o “mediato”) anche la “rettifica” del saldo di un conto corrente certamente è finalizzata.

Pertanto, già l’assunto secondo il quale la (corretta) annotazione nel conto non sarebbe un “diritto” ma una mera “rappresentazione contabile di un diritto”, desta una qualche perplessità, siccome a mio sommesso avviso ancorata ad una sottigliezza lessicale, più che alla sostanza.

Peraltro, in maniera – sembra – contraddittoria, l’Ordinanza in commento evidenzia:

“Va preliminarmente osservato che questa Corte condivide pienamente il principio elaborato della sentenza delle Sezioni Unite n. 24418 del 2 dicembre 2010 – ed intende darvi continuità – secondo cui costituiscono pagamento in senso tecnico (determinando uno spostamento di ricchezza a favore della banca) solo le c.d. rimesse solutorie, ovvero i versamenti effettuati dal correntista su un conto corrente per il quale vi sia stato uno sconfinamento rispetto al fido concesso oppure su un conto corrente ab origine non affidato.”

Come noto, dalla differenza tra rimesse “solutorie” e rimesse “ripristinatorie” fatta propria anche dall’Ordinanza in commento, deriva che solo per le prime (“solutorie”) il termine di prescrizione decorre da quando effettuata la rimessa (e non dalla chiusura del rapporto), siccome costituenti “pagamento”, con quanto ne consegue anche sul piano contabile.

Ebbene, i principi affermati della decisione in commento rischiano di minare proprio gli effetti e le conseguenze contabili della prescrizione del diritto alla ripetizione di indebito ex artt. 1422 e 2033 c.c., come definitivamente delineato dalla predetta sentenza della S.C. a Sezione Unite con riferimento ai rapporti di c/c.

Ciò, pure un po’ paradossalmente, dopo che in motivazione (decisione in commento) si è premesso di condividere quanto statuito proprio dalla sentenza della S.C. a Sezioni Unite e sulla base di sole due righe di motivazione da essa estratte.

La conseguenza contabile di una rilevata prescrizione del diritto ripetitorio dovrebbe essere l’eliminazione di ogni possibile effetto favorevole al Correntista, riconducibile a “partite” non più ripetibili.

Diversamente, si rischia di vulnerare i suddetti, generali principi.

Infatti, si potrebbe arrivare al paradosso logico-giuridico-contabile che un diritto ormai prescritto continui a produrre effetti giuridici ed economici (contabili) favorevoli al suo titolare.

Ciò che presumibilmente avverrebbe in caso di rettifica di un’annotazione in conto nonostante l’intervenuta prescrizione del relativo diritto ripetitorio.

Infatti, se si tiene conto degli effetti della prescrizione in sede di ricostruzione contabile di un rapporto di c/c, le somme irripetibili per prescrizione dovrebbero essere mantenute invariate (data e importo) rispetto alle annotazioni storiche ed i relativi importi ormai prescritti andrebbero considerati alla stregua di normali operazioni di “mero addebito di capitale”.

Se invece gli importi prescritti venissero decurtati solo una volta rielaborato il conto corrente, quindi “ex post” a seguito delle “rettifiche” di cui all’Ordinanza in commento, il correntista beneficerebbe di interessi attivi calcolati su tali importi dalla data del pagamento/versamento “solutorio” ormai prescritto.

In altri termini, per assurdo la Banca che non deve restituire al correntista l’importo indebito prescritto, si vedrebbe costretta a rimborsargli gli interessi attivi maturati sulla medesima somma dichiarata irripetibile.

Ciò finirebbe per neutralizzare almeno in parte gli effetti della prescrizione.

Sotto questo aspetto, non pare rilevare nemmeno la questione se vi sia o meno un “diritto alla rettifica”, atteso che la prescrizione maturata con riferimento ad annotazioni in conto corrente dovrebbe avere quale effetto “sostanziale e contabile” quello di escluderne la “rettifica”.

Dunque, prescritto il diritto “ripetitorio”, in sede di ricostruzione del rapporto il correntista non dovrebbe poter beneficiare della “rettifica” di “partite contabili” ormai coperte da prescrizione.

In sintesi, nella ricostruzione del rapporto di conto corrente a qualunque fine (ripetizione, rettifica, etc.), a mio sommesso avviso una metodologia corretta e tale da rispettare i suddetti principi non può che attestarsi su una considerazione (giuridico-contabile) “ex ante” di tutto quanto ormai prescritto.

 

  1. – QUALCHE SPUNTO DIFENSIVO.

Al fine di mitigare la portata potenzialmente pericolosa dell’Ordinanza in commento (possibilità di “rettifica” delle annotazioni in conto corrente “senza limiti di tempo”) si dovrebbe incentrare l’attenzione intanto sui quesiti e sulle metodologie da seguirsi in sede di C.T.U. (tecnico-contabile) onde evitare che si producano i suddetti effetti aberranti e, in ogni caso sugli oneri di allegazione e di prova (da parte del correntista/attore in giudizio), quindi:

  • in primis ed ove la domanda sia formulata in termini estremamente generici e del tutto priva dell’esposizione dei fatti costituenti le ragioni, eccependone la nullità per indeterminatezza della causa petendi e l’insuscettibilità ad essere sistematicamente integrata nemmeno da una C.T.P. che, come noto, può avere tutt’al più una portata “chiarificatoria” rispetto ad un “quadro allegatorio” già prospettato ma non può di certo sostituire completamente il contenuto obbligatorio dell’atto di citazione, rappresentando una sorta di allegazione implicita attuata mediante un mero richiamo;
  • in ogni caso, richiamando i numerosi principi della Giurisprudenza, generali e specifici in materia.

Fra i primi (generali), merita sempre particolare attenzione Cass. Civ. – Sez. III, sentenza 19 ottobre 2017, n. 24607, Pres. Chiarini, Rel. Rossetti, che, anche se in contenzioso in ambito di r.c., conferma i principi generali in tema di onere di allegazione, che e come noto, si accompagna, anzi, precede l’onere della prova.

Di talchè, quando è mancata una “puntuale” e “tempestiva allegazione” dei fatti a fondamento della pretesa, è inutile la “prova” (anche produzione documentale) di quei fatti, siccome non costituenti il “thema decidendum”.

Fra i secondi (specifici in materia e fra i tanti):

  • “Il correntista, il quale agisca in giudizio per la ripetizione dell’indebito è tenuto a fornire la prova sia degli avvenuti pagamenti che della mancanza, rispetto a essi, di una valida causa debendi, sicché il medesimo ha l’onere di documentare l’andamento del rapporto con la produzione di tutti quegli estratti conto che evidenziano le singole rimesse suscettibili di ripetizione in quanto riferite a somme non dovute. (Nella specie la Corte territoriale, qualificata l’azione di accertamento del dare-avere promossa dai correntisti come tipico giudizio di accertamento delle nullità delle clausole del contratto di apertura di credito, ha affermato che trovano applicazione nell’ambito delle azioni di accertamento negativo del credito bancario i principi generali sull’onere della prova, indipendentemente dalla circostanza che la causa sia stata instaurata dal correntista-debitore e che anche in tale situazione sono a carico della banca-creditrice, convenuta in accertamento, le conseguenze della mancata dimostrazione degli elementi costitutivi della pretesa, gravando l’onere di allegazione e di prova dei fatti costitutivi del diritto negato sul convenuto titolare dell’asserito diritto e aggressore sostanziale. In realtà, ha osservato la Suprema corte, non può ritenersi che ogni qualvolta la banca, convenuta in azione di accertamento negativo o attrice in pagamento deve dimostrare il proprio credito, ha l’onere di produrre la completa documentazione del rapporto di conto corrente ed è tenuta a produrre in giudizio tutti gli estratti conto a partire dall’apertura del conto corrente oggetto di analisi, operando tale regola esclusivamente nella ipotesi in cui sia la banca ad agire in giudizio per domandare il pagamento di somme dovute) ( Civ. – Sez. I, Pres. DE CHIARA – Rel. CARADONNA, sentenza 17 aprile 2020, n. 7895);
  • “in tema di contratto di conto corrente bancario, il correntista che agisca per la ripetizione di indebito, tenuto a fornire a prova sia degli avvenuti pagamenti che della mancanza, rispetto ad essi, di una valida causa debendi, è onerato di documentare l’andamento del rapporto con la produzione degli estratti conto, i quali evidenziano le singole rimesse che, per riferirsi ad importi non dovuti, sono suscettibili di ripetizione” ( Civ. – Sez. VI – Pres. Genovese, Rel. Falabella, ordinanza 23 ottobre 2017, n. 24948);
  • “(…) la parte che agisce in giudizio deve dimostrare i fatti costitutivi della sua pretesa e colui che esercita l’azione di ripetizione delle rimesse indebitamente eseguite, al fine di connotare correttamente il proprio atto di citazione di petitum e causa petendi, deve allegare specificamente: a) la condizione contrattuale illegittima o il comportamento illegittimo della banca, quindi il titolo in forza del quale è stata eseguita la rimessa; b) la singola rimessa; c) la natura solutoria della stessa (poiché eseguita su conto scoperto) ovvero la sua natura ripristinatoria (poiché eseguita su conto semplicemente passivo); d) la data del pagamento; e) il calcolo delle diverse rimesse così da consentire di individuare la correttezza della somma o della posta, di cui invocare la ripetizione o l’indebito. ( L’Aquila, sentenza 30 giugno 2020, n. 966; Trib. Napoli Nord – g.u. Rabuano, sentenza del 13 gennaio 2017, n. 107);
  • “Al fine di ottenere una ripetizione d’indebito, è onere del soggetto che agisce per la ripetizione produrre una completa allegazione per dimostrare l’andamento del rapporto nel corso degli anni. In altre parole, nel caso in cui sia il correntista ad agire in giudizio per la ripetizione delle somme ritenute indebitamente versate alla banca, incombe sullo stesso, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2967, 1° comma, c.c., l’onere di allegare e provare i fatti posti a base della domanda, producendo il contratto di conto corrente e tutti gli estratti di conto corrente completi, sì da consentire la ricostruzione del rapporto in modo credibile ed oggettivo.” ( Torino – Sez. I, sentenza 24 novembre 2020, n. 4161).

Dunque, ove il Correntista intenda chiedere la rettifica delle annotazioni e del saldo conseguente, anche senza domanda ripetitoria, occorre verificare:

  • se abbia individuato le singole “rimesse” in contestazione, specificando quindi l’oggetto della “rettifica” (“onus allegandi”);
  • se abbia documentato l’andamento del rapporto mediante la produzione degli estratti conto (“onus probandi”).

In caso di mancato rispetto anche di uno solo dei suddetti oneri, opporsi ancora di più all’ammissione della C.T.U. tecnico-contabile.

 

  1. – CONCLUSIVAMENTE.

Lo spostamento del baricentro sull’obbligo di rendiconto, rettifica del saldo, etc., appare un tentativo di alterare i generali principi in tema di onere di allegazione e di prova che, se e quando l’Istituto di credito è convenuto (formale e sostanziale), non possono che essere esclusivamente a carico del cliente-attore (formale e sostanziale).

Tale tentativo:

  • va evidentemente contrastato, ribadendo ed argomentando, meglio di quanto sopra considerato, che anche la “rettifica” del saldo di un conto corrente certamente è finalizzata, in via diretta o indiretta (petitum “immediato” o “mediato”) ad un’azione di ripetizione (diritto), su cui non possono non incidere gli effetti della prescrizione (ovviamente eccepita tempestivamente), con un Ausilio di parte sempre più pregnante ed in stretto contatto fin dalla predisposizione degli atti difensivi e certamente nell’iter di svolgimento della C.T.U. eventualmente (ma verosimilmente) disposta, preferibilmente ed all’occorrenza muovendo puntuali “osservazioni” già in sede di inizio delle oo.pp. (per concordare i migliori criteri da seguire) e poi alla bozza di relazione ai sensi dell’art. 195, comma 3, c.p.c. (quindi, evitando contestazioni solo postume ed alla relazione definitiva, come noto quasi sempre inutili);
  • trova, purtroppo, un recente sostegno anche in Civ. – Sez. III – Pres. Frasca, Rel. Moscarini, ordinanza 30 ottobre 2020, n. 24181, secondo la quale il correntista (e finanche il fideiussore) ha(nno) sempre diritto di ottenere dalla banca il “rendiconto”, ai sensi dell’art. 119 TUB, anche in sede giudiziaria (ex art. 210 c.p.c.), fornendo la sola prova dell’esistenza del rapporto contrattuale, diversamente convertendosi un istituto di protezione del “cliente” (tale definito anche il fideiussore) in uno strumento di penalizzazione del medesimo, decisione questa pure ed eccome da contrastarsi.

Anche sul tema sarebbe quanto mai auspicabile un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite della S.C. di Cassazione.



Rivista di Diritto Bancario Tidona - Il contenuto di questo documento potrebbe non essere aggiornato o comunque non applicabile al Suo specifico caso. Si raccomanda di consultare un avvocato esperto prima di assumere qualsiasi decisione in merito a concrete fattispecie.

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