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Di Antonio Pezzuto, ex Dirigente della Banca d’Italia
Nei primi mesi di quest’anno il sistema bancario internazionale è stato scosso da alcuni episodi di insolvenza che hanno creato allarmismi tra i depositanti ed evocato lo spettro di una nuova crisi finanziaria sistemica.
Il 10 marzo scorso la Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC) – l’Agenzia indipendente statunitense che garantisce i depositi bancari fino a 250 mila dollari – ha annunciato il fallimento della Silicon Valley Bank (SVB) di Santa Clara[1], la sedicesima banca per dimensione, con un attivo consolidato pari a 209 miliardi di dollari e depositi per 175 miliardi.
In pari data, è stata dichiarata fallita pure la Signature Bank di New York che, alla fine del 2022, aveva un attivo totale di oltre 110 miliardi di dollari e amministrava depositi per circa 83 miliardi. In precedenza, era appena entrata in liquidazione volontaria la Silvergate Bank di San Diego, che operava nel settore delle criptovalute con un patrimonio di 14 miliardi di dollari.
Per proteggere i depositanti assicurati, la FDIC, in qualità di curatore fallimentare, ha creato la Silicon Valley Bridge Bank, National Association, alla quale ha trasferito tutti i depositi (assicurati e non assicurati) di SVB. Il 26 marzo la FDIC ha stipulato un contratto per la cessione della banca ponte alla First Citizens BanK & Trust Company.
Il dissesto di SVB ha tratto origine dal vano tentativo di raccogliere nuovo capitale per coprire le perdite subite a fronte della vendita di un rilevante ammontare di titoli in portafoglio, operazione necessaria per arginare la fuga dei depositi. Anche a causa del crollo delle quotazioni azionarie, i deflussi dei depositi sono ulteriormente aumentati e il 10 marzo, come anticipato, di fronte all’impossibilità di onorare gli impegni verso i depositanti, la banca californiana è stata dichiarata insolvente.
In realtà, le cause del dissesto di SVB vanno ricercate nella particolare struttura del bilancio della banca: dal lato dell’attivo, una quota considerevole del portafoglio titoli era costituita da asset pubblici a reddito fisso a lunga scadenza, con una notevole esposizione al rischio di aumenti dei tassi d’interesse[2]; dal lato del passivo, la raccolta si caratterizzava per un’elevata concentrazione dei depositanti, in larga parte imprese operanti nel settore high-tech, e per una percentuale di depositi assicurati molto bassa (circa il 10 per cento del totale). Inoltre, la banca non era soggetta ai requisiti di liquidità (liquidity coverage ratio, LCR e net stable funding ratio, NSFR) e aveva requisiti di capitale meno severi di quelli richiesti alle banche di maggiore dimensione[3].
Allo scopo di impedire l’estensione del contagio ad altre aree del paese, le autorità statunitensi hanno varato due importanti misure: da un lato, la FDIC ha esteso la garanzia di rimborso a tutti i depositi (compresi quelli non assicurati) di SVB e Signature Bank per far fronte a eventuali crisi di fiducia nei confronti del sistema bancario; dall’altro, la Federal Reserve ha annunciato il lancio di un “programma di indennizzo e salvaguardia dei depositanti” (c.d. Bank Term Funding Program), che prevede la concessione di prestiti della durata massima di un anno agli intermediari a fronte di garanzie di alta qualità valutate al valore nominale. Il fondo avrà una dotazione iniziale di 25 miliardi di dollari.
Rispetto alla crisi del 2007-08 che portò al fallimento di Lehman Brothers, a causa della forte esposizione di numerose banche verso il settore delle obbligazioni emesse a fronte di operazioni di cartolarizzazioni di prestiti, principalmente immobiliari, concessi a debitori di basso standing creditizio, la crisi bancaria attuale è dovuta al fatto che la SVB era invece esposta verso il settore pubblico, detenendo in portafoglio un cospicuo quantitativo di titoli di Stato che si sono deprezzati in seguito al rialzo dei tassi di policy[4].
Al dissesto di SVB, Signature Bank e Silvergate Bank è seguito quello di First Republic Bank di San Francisco, una banca regionale che, a causa della sua precaria situazione finanziaria, precipitata in seguito alla decisione di Fitch di declassarne il rating creditizio, ha registrato perdite significative negli ultimi mesi. Per far fronte al rischio di una possibile corsa agli sportelli, il 16 marzo scorso un consorzio di banche private, tra cui JP Morgan Chase Bank e Goldman Sachs, ha messo a punto un piano di aiuti da 30 miliardi di dollari, che non è stato sufficiente, tuttavia, ad arrestare la caduta del titolo in borsa e la fuga dei depositi. Fallito il tentativo di salvataggio, la FDIC ha disposto la chiusura della banca californiana e ha avviato contatti con JP Morgan per la cessione delle sue attività e passività.
Per quanto la crisi del sistema bancario americano sia circoscritta a soli tre casi, le banche regionali presentano ancora tre elementi di fragilità che nei prossimi anni potrebbero incidere sulla loro situazione reddituale e, in qualche caso, decretarne la scomparsa dal mercato[5].
Il primo elemento di debolezza riguarda l’ammontare dei loro depositi, che si sono fortemente assottigliati durante la crisi. La minore disponibilità di risorse liquide indurrà molte di queste banche a ridurre le attività di impiego e di investimento, con ripercussioni negative sul conto economico.
La seconda debolezza delle banche regionali è legata alla presenza nei loro bilanci di consistenti quantità di titoli di Stato che, in un contesto di alti tassi di policy, generano rilevanti perdite potenziali[6].
La terza debolezza concerne la regolamentazione bancaria che sarà, con ogni probabilità, resa più stringente. Le autorità potrebbero infatti imporre a tutte le banche di rafforzare i presidi sulla liquidità, “chiedendo loro di detenere una maggiore quantità di depositi vincolati o pretendere un innalzamento del valore dei depositi con un conseguente aggravio dei premi pagati”.
Le difficoltà in cui da tempo si dibatte Credit Suisse[7], la seconda banca svizzera per dimensione, a causa del suo coinvolgimento nel fallimento della società d’investimento Greensill Capital e del fondo speculativo Archegos nel 2021, nonché per l’emergere di pratiche corruttive, riciclaggio di denaro e frodi fiscali, si sono acuite nella settimana del 13 marzo, quando il prezzo delle sue azioni è sceso di quasi il 25 per cento in seguito all’annuncio del principale azionista (Saudi National Bank) di non voler ricapitalizzare la partecipata con ulteriori esborsi.
Il 19 marzo le autorità elvetiche (Governo federale, Banca Nazionale Svizzera e Autorità Federale di Vigilanza sui Mercati Finanziari) sono intervenute per agevolare l’acquisizione della banca da parte di UBS. L’operazione di salvataggio – da perfezionare entro il 2023 con la fusione tra le due banche – prevede tra l’altro:
- l’acquisto di Credit Suisse al prezzo di 3 miliardi di franchi svizzeri (gli azionisti di Credit Suisse riceveranno 1 azione UBS ogni 22,48 azioni Credit Suisse da essi detenute);
- l’azzeramento delle obbligazioni subordinate aggiuntive di classe 1 (additional tier 1, AT1)[8], emesse da Credit Suisse per 16 miliardi di franchi svizzeri;
- un sostegno di liquidità sotto forma di prestito fino a un ammontare complessivo di 100 miliardi di franchi svizzeri, assistito da garanzia della Confederazione, per far fronte a eventuali perdite di Credit Suisse;
- la concessione di garanzie pubbliche per 9 miliardi di franchi svizzeri a copertura di esuberi, contenziosi e minusvalenze da cessioni.
Le tensioni innescate dagli episodi di dissesto verificatisi negli Stati Uniti e in Svizzera hanno influenzato l’andamento dei prezzi delle attività finanziarie. In Italia, dopo una flessione di circa il 15 per cento nei giorni immediatamente successivi al fallimento di SVB, nelle settimane seguenti le quotazioni azionarie sono risalite gradualmente fino a registrare alla fine di marzo una crescita del 17 per cento rispetto ai valori di inizio anno.
Ad attenuare le tensioni seguite a questi dissesti bancari è intervenuta prontamente la BCE. Nella conferenza stampa del 16 marzo, la presidente Lagarde ha dichiarato che il Comitato direttivo segue con attenzione le turbolenze in atto sui mercati ed è pronto a intervenire, ove necessario, per preservare la stabilità dei prezzi e del sistema finanziario nell’area dell’euro. Ha poi soggiunto che il settore bancario europeo ha una buona capacità di tenuta, con solide posizioni di capitale e di liquidità[9] e che, in ogni caso, la banca centrale dispone di tutti gli strumenti necessari per fornire liquidità alle banche in difficoltà e per assicurare l’ordinata trasmissione della politica monetaria.
Sulla vicenda è intervenuta anche la Banca d’Italia per rassicurare i depositanti e gli investitori sulla solidità e l’affidabilità delle banche italiane che, indipendentemente dalla loro dimensione, sono assoggettate al rispetto di requisiti prudenziali e a un regime di controlli rigoroso e basato sulle migliori pratiche internazionali[10].
A conferma delle soddisfacenti condizioni di salute di cui godono oggi le banche italiane, l’Organo di vigilanza ha fatto presente che alla fine del 2022:
- il livello medio di patrimonializzazione, valutato con riferimento al capitale di migliore qualità, era più elevato della media dei maggiori competitor europei;
- l’incidenza dei crediti deteriorati sul totale dei finanziamenti erogati (non performing loans ratio, NPL ratio) era in linea con la media europea;
- gli indici di liquidità (LCR e NSFR) erano in media molto al di sopra dei minimi regolamentari e nessun intermediario evidenziava un valore inferiore alla soglia minima;
- più della metà del totale dei depositi bancari detenuti dalla clientela ordinaria era protetta dai sistemi di garanzia nazionali (Fondo interbancario di tutela dei depositi e Fondo di garanzia dei depositanti del credito cooperativo).
Note:
[1] E’ il secondo più grande fallimento bancario nella storia degli Stati Uniti, dopo la bancarotta della Washington Mutual, avvenuta nel settembre 2008.
[2]La FDIC ha stimato che, alla fine del 2022, le banche americane detenevano 5.500 miliardi di dollari di titoli di Stato e mortgage-backed security (titoli obbligazionari derivanti da operazioni di cartolarizzazione di prestiti ipotecari), il 44 per cento di più del livello pre-pandemico. Questi titoli, a seguito del rialzo dei tassi di interesse di riferimento (4,5 punti percentuali nel corso del 2022), hanno generato una perdita potenziale di 620 miliardi di dollari. Secondo l’Autorità bancaria europea, i titoli pubblici detenuti dalle banche europee ammontano a 3.300 miliardi di euro, con una perdita potenziale di circa 370 miliardi di euro. Hamaui R., Perché la crisi bancaria innervosisce mercati e banche centrali, in www.lavoce.info, 21.3.2023.
[3] La riforma del Dodd-Frank Act del 2018, approvata dall’amministrazione Trump, ha innalzato da 50 a 250 miliardi di dollari la soglia di attività al di sotto della quale le banche sono esentate dalle regole e dai controlli più stringenti, che invece vengono applicati alle grandi banche di rilevanza sistemica.
[4] Baglioni A., Crisi bancarie, ci risiamo?, in www.lavoce.info, 4.3.2023.
[5] Hamaui R., Tre problemi per le banche regionali USA, in www.lavoce.info, 14.4.2023.
[6] Si ricorda che le perdite potenziali non vanno contabilizzate in bilancio se i titoli sono classificati come held-to-maturity (HTM), cioè da tenere sino alla scadenza. Ovviamente, se alcune banche decidessero di vendere i loro titoli per contrastare una fuga dei depositi, le perdite potenziali si trasformerebbero in perdite effettive, con conseguente impatto sul conto economico.
[7] Nel 2021 e nel 2022 il bilancio della banca si è chiuso con una perdita, rispettivamente, di 1,6 e 7,3 miliardi di franchi svizzeri
[8] Gli AT1 (indicati anche come contingent concertible bonds) sono titoli di debito subordinati che, a differenza delle obbligazioni ordinarie, non hanno scadenza. Per questo motivo, sono definiti “bond perpetual”, anche se possono essere rimborsati in via anticipata. In caso di dissesto della banca emittente, gli AT1 possono essere convertiti in azioni per dotare la banca di capitale aggiuntivo oppure possono essere azzerati, come nel caso di Credit Suisse. Sono quindi titoli più rischiosi delle obbligazioni ordinarie, ma anche più redditizi. La decisione assunta dalle autorità svizzere di procedere all’azzeramento del valore nominale dei titoli AT1 senza imporre prima le perdite agli azionisti di Credit Suisse appare in contrasto con la disciplina europea. Il quadro di risoluzione comunitario ha stabilito, infatti, una precisa gerarchia in base alla quale gli strumenti di capitale ordinario sono i primi ad assorbire le perdite e solo dopo il loro pieno utilizzo è possibile procedere a una riduzione o azzeramento del valore nominale degli strumenti AT1. Sul punto cfr. Messore A. e Bonardi F., Crisi bancarie e strumenti Additional Tier 1: il caso Credit Suisse, in www.dirittobancario.it, 14.4.2023.
[9] Alla fine del terzo trimestre 2022, il coefficiente aggregato del capitale primario di classe 1 (CET 1) degli enti significativi era pari al 14,7 per cento, lievemente inferiore al livello osservato alla fine del 2019. Inoltre, con riferimento alla stessa data, i coefficienti di liquidità (LCR e NSFR) si attestavano al di sopra dei livelli pre-pandemia. Cfr. BCE, Rapporto annuale sul 2022.
[10] Banca d’Italia, Bollettino Economico, n. 2/2023.
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