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22 Febbraio 2023 In Diritto finanziario Tidona

Verso la normalizzazione della politica monetaria nell’area dell’euro

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© Tutti i diritti riservati. Vietata la ripubblicazione cartacea ed in internet senza una espressa autorizzazione scritta. È consentito il link diretto a questo documento.

Di Antonio Pezzuto, ex Dirigente della Banca d’Italia   

 

Per contrastare le spinte recessive e la tendenza flettente dei prezzi al consumo prodotte da crisi sistemiche come quella finanziaria globale del 2008-09, quella dei debiti sovrani del 2011-12 e quella innescata dalla pandemia di COVID 19, il Consiglio direttivo della BCE ha introdotto misure straordinarie di politica monetaria “non convenzionali” (acquisti a titolo definitivo di attività finanziarie, operazioni di prestito a lungo termine al sistema bancario, tassi di interesse negativi e indicazioni prospettiche sulle politiche future (forward guidance)[1], tramite le quali sono state immesse nel mercato massicce dosi di liquidità. Queste misure si sono rese necessarie per alleviare le tensioni finanziarie, imprimere un impulso alla domanda aggregata e favorire l’afflusso di credito all’economia.

In un contesto di perdurante debolezza dell’attività economica, di contrazione del credito e di un rallentamento dei prezzi superiore alle attese, dopo che i tassi di interesse ufficiali erano stati ridotti a zero o, addirittura, su livelli negativi, a partire dal 2014 il rischio di un periodo eccessivamente prolungato di bassa crescita dei prezzi (deflazione)[2] è stato fronteggiato con un ampio e crescente ricorso a operazioni di acquisto di titoli pubblici e di titoli emessi dal settore privato (Asset Purchase, AP), che hanno avuto un impatto significativo sull’attività economica e sui prezzi al consumo dell’area dell’euro[3].

L’ampio e crescente ricorso a misure eccezionali di politica monetaria ha comportato una considerevole espansione delle dimensioni del bilancio dell’Eurosistema, nonché della sua composizione[4], con conseguente aumento dell’esposizione a rischi di vario tipo (di interesse, di cambio, di credito, ecc.) che, materializzandosi, potrebbero generare perdite rilevanti.

Nel biennio 2015-16 il Consiglio direttivo ha allentato ulteriormente le condizioni monetarie, riducendo i tassi ufficiali[5] e ampliando il programma di acquisto di attività finanziarie nella composizione e nella dimensione. Nello scorcio dell’anno l’inflazione è risalita, sospinta dalle componenti più volatili, in particolare dal prezzo del petrolio.

Negli anni 2017 e 2018 l’orientamento della politica monetaria, pur mantenendo un grado molto elevato di accomodamento, è stato ricalibrato con gradualità, in un contesto di progressivo miglioramento delle prospettive macroeconomiche nell’area dell’euro e del ridimensionamento dei rischi di deflazione: è stato ridotto il ritmo degli acquisti netti di attività finanziarie (tapering) nell’ambito del programma AP e sono stati mantenuti i tassi ufficiali su un livello molto basso.

In questo contesto, nel 2018 la BCE ha manifestato l’intenzione di dare avvio alla fase di uscita dal QE attraverso la graduale riduzione degli acquisti netti di attività finanziarie oggetto del programma AP, fino al loro completo azzeramento, il reinvestimento dei fondi derivanti dal rimborso dei titoli in scadenza (roll-over), l’aumento dei tassi ufficiali e la progressiva riduzione dello stock di titoli in portafoglio.

Il deterioramento del quadro macroeconomico ha indotto, tuttavia, la BCE a interrompere, nell’autunno del 2019, il processo di uscita dal QE e a riprendere gli acquisti netti di titoli, sia pure su scala ridotta.

Nel corso del 2019, a fronte di un indebolimento delle prospettive di crescita e di inflazione, la BCE ha prolungato la fase di elevato accomodamento monetario, adottando un ampio pacchetto di misure espansive, tra cui la riduzione dei tassi ufficiali[6] e il riavvio degli acquisti netti di attività finanziarie.

Nel marzo 2020, la BCE ha introdotto nuove misure volte a fronteggiare lo shock pandemico e a garantire l’ordinata trasmissione della politica monetaria in tutte le giurisdizioni dell’area dell’euro. In particolare, è stato rafforzato il programma AP che aveva riavviato a novembre 2019, è stato approvato un nuovo programma di acquisto di titoli pubblici e privati per l’emergenza pandemica (Pandemic Emergency Purchase Programme, PEPP), sono state lanciate nuove operazioni di rifinanziamento a più lungo termine (Longer-Term Refinancing Operations, LTRO e Pandemic Emergency Longer-Term Refinancing Operations, PELTRO) a condizioni molto vantaggiose.

In conclusione, si può affermare che il ricorso a misure non convenzionali ha consentito di contrastare le spinte deflazionistiche, preservare i flussi di credito all’economia e sostenere la domanda globale. Tuttavia, anche la politica monetaria non convenzionale può produrre potenziali effetti negativi sul settore finanziario. La permanenza di tassi d’interesse su livelli prossimi allo zero per un prolungato periodo può incidere sulla redditività delle banche, riducendo il margine d’interesse e, quindi, la quota dei profitti da destinare al rafforzamento del patrimonio. Inoltre, valori molto bassi dei tassi d’interesse possono spingere i risparmiatori a orientare le scelte di portafoglio verso investimenti più rischiosi.

Dalla primavera del 2021 l’inflazione ha iniziato a salire in maniera decisa nelle maggiori economie avanzate (con l’eccezione del Giappone) e in molte economie emergenti (con l’eccezione della Cina), sospinta dai rincari delle materie prime, soprattutto di quelle energetiche e alimentari, dalle strozzature nelle catene produttive e dall’incremento dei costi dei trasporti internazionali. Il FMI ha stimato che nell’ultimo trimestre dell’anno i prezzi al consumo sono aumentati su base annua del 4,9 per cento nei paesi avanzati e del 6 per cento in quelli emergenti[7]. La tendenza alla crescita dei prezzi ha riguardato sia l’inflazione complessiva (headline inflation) sia quella di fondo (core inflation), che esclude le componenti più volatili (beni energetici e alimentari).

L’orientamento delle politiche monetarie dei principali paesi avanzati si è mantenuto accomodante durante il 2021: è proseguita l’espansione dei bilanci delle banche centrali e i tassi di policy sono rimasti intorno allo zero. Il rialzo dell’inflazione ha spinto, tuttavia, alcune banche centrali ad avviare verso la fine dell’anno un processo di “normalizzazione” della politica monetaria, ossia di un’uscita dall’orientamento accomodante. Tra queste, la Federal Reserve  (FED) e la Bank of England (BOE): la prima in novembre ha cominciato a ridurre gradualmente gli acquisti di titoli fino ad azzerarli a marzo 2022, quando ha deciso un primo rialzo di 25 punti base dell’intervallo obiettivo del tasso sui federal funds, seguito da ulteriori sei rialzi nei mesi successivi (a fine anno il tasso di riferimento si collocava tra il 4,25 e il 4,50 per cento); la seconda ha portato i tassi di interesse all’1 per cento nel maggio del 2022 e ha cessato di reinvestire il capitale rimborsato dei titoli in scadenza[8].

Nel 2021 la BCE ha mantenuto un orientamento di politica monetaria molto accomodante, al fine di preservare condizioni di finanziamento favorevoli durante il periodo pandemico. Nel luglio dello stesso anno il Govern Council ha approvato la nuova strategia di politica monetaria[9]. La novità più rilevante riguarda la definizione di stabilità dei prezzi: il target del 2 per cento è diventato un obiettivo simmetrico, da perseguire nel medio termine. La simmetria implica che scostamenti negativi e positivi dell’inflazione rispetto all’obiettivo siano ugualmente indesiderabili, inopportuni. Quando l’economia opera in prossimità del limite inferiore effettivo dei tassi ufficiali, per evitare che le deviazioni negative dall’obiettivo si radichino nelle aspettative degli operatori e nelle decisioni di spesa, sono necessari interventi di politica monetaria più incisivi e persistenti, che possono comportare un tasso di inflazione moderatamente superiore al 2 per cento per un periodo transitorio[10].

A fronte di un miglioramento delle prospettive economiche e dell’aumento delle aspettative di inflazione a medio termine verso l’obiettivo della stabilità dei prezzi, a dicembre 2021 la BCE ha avviato il processo di riduzione dell’accomodamento monetario, con l’interruzione degli acquisti netti di attività finanziarie.

La prima fase del processo di riduzione dell’accomodamento monetario è avvenuta nel primo semestre del 2022, con l’azzeramento degli acquisti di titoli nell’ambito del programma pandemico (PEPP) a fine marzo e di quelli previsti dal programma AP a fine luglio. Queste misure hanno segnato la fine della politica monetaria ultra-espansiva iniziata nel 2014-15.

Nella riunione del 21 luglio 2022, la BCE ha deciso di innalzare di 50 punti base i tassi di policy e ha approvato il nuovo strumento per la protezione del meccanismo di trasmissione della politica monetaria (Transmission Protection Instrument, TPI), che potrà essere attivato all’emergere di ingiustificate tensioni sui mercati finanziari. Ad avviso della banca centrale, il TPI mira ad assicurare che le modifiche all’orientamento della politica monetaria siano trasmesse in modo ordinato nell’area dell’euro, evitando frammentazioni tra un paese e l’altro.

Il TPI consentirà alla BCE di effettuare acquisti di titoli di debito pubblico, di entità potenzialmente illimitata e con scadenza residua tra uno e dieci anni, dei paesi nei quali si registra un deterioramento delle condizioni di finanziamento non giustificato dai fondamentali macroeconomici[11]. Le decisioni si baseranno su una valutazione complessiva di quattro specifici criteri: i) il rispetto dei vincoli di bilancio indicati dall’Unione europea; ii) l’assenza di gravi squilibri macroeconomici; iii) la sostenibilità del debito pubblico; iv) l’adozione di politiche prudenti e credibili nel rispetto degli impegni presentati all’interno dei rispettivi Piani nazionali di ripresa e resilienza (PNRR) e delle raccomandazioni specifiche in ambito fiscale della Commissione europea[12].

Rispetto al programma OMT (Outright Monetary Transactions), approvato dal Govern Council nel settembre 2012 ma mai attuato per l’eccessiva severità delle condizioni poste ai paesi beneficiari degli aiuti finanziari[13], la condizionalità del TPI appare più leggera, in quanto non è richiesta la sottoscrizione di un accordo di assistenza finanziaria con il MES.

La seconda fase del percorso di normalizzazione ha avuto inizio nel settembre 2022, con un rialzo dei tassi di policy di 75 punti base, a cui è seguito un ulteriore aumento di pari entità in ottobre e di 50 punti a dicembre, che ha portato i tassi ai seguenti livelli: 2,0 per cento per il deposito overnight, 2,50 per le operazioni di rifinanziamento principali e 2,75 per le operazioni di rifinanziamento marginale.

L’inasprimento delle condizioni monetarie è stato giustificato dal Consiglio direttivo con la necessità di ancorare le aspettative di inflazione, a fronte di un aumento della stessa ben oltre il previsto, che ha portato il tasso di inflazione a raggiungere il 9,9 per cento a settembre nell’area dell’euro.

L’aumento dei tassi d’interesse ufficiali è stato accompagnato dalla decisione di modificare la strategia di comunicazione pubblica, abbandonando la forward guidance in favore di un approccio meeting by meeting, in base al quale le decisioni di politica monetaria vengono prese di volta in volta sulla base delle informazioni al momento disponibili. Rispetto alla forward guidance, l’approccio meeting by meeting è meno efficace nell’orientare le aspettative degli agenti economici, lasciando alla banca centrale le “mani libere” di reagire alle informazioni che si rendono via via disponibili nel corso del tempo.

Il passaggio al nuovo approccio è stato giustificato con l’elevato livello di incertezza che grava sull’economia europea, anche in conseguenza dell’acuirsi delle tensioni geopolitiche, e con il fatto che esso è più adatto ad una politica basata sul controllo dei tassi d’interesse, una volta che questi si collocano al di sopra dello zero lower bound, e che le misure di politica monetaria “non convenzionali” sono state sostanzialmente abbandonate[14].

Nel corso del 2022 il Consiglio direttivo ha innalzato complessivamente i tassi ufficiali di riferimento di 250 punti base, “dando luogo all’incremento più ampio mai registrato nella storia dell’euro”[15].  Dal confronto internazionale emerge che la BCE rimane una delle banche centrali con i tassi d’interesse nominali più bassi al mondo. Solo in Giappone, Svizzera e Danimarca si registrano tassi di policy inferiori. Inoltre, quasi tutti i paesi avanzati hanno un’inflazione simile o più bassa di quella dell’eurozona e tassi di policy più alti[16].

Assumendo come elemento di confronto il tasso di interesse reale, vale a dire il tasso d’interesse nominale depurato del tasso di inflazione registrato negli ultimi 12 mesi, il tasso reale della BCE si attesta a – 6,7 per cento a fine dicembre 2022, uno dei valori più bassi fra tutti i paesi avanzati.

Alcuni commentatori hanno affermato che il ritardo, rispetto agli Stati Uniti, con cui la BCE ha iniziato a modificare la stance di politica monetaria e gli errori nella previsione dell’inflazione potrebbero minare la credibilità della banca centrale.

In merito al presunto ritardo con cui sono stati aumentati i tassi di policy, due fattori concorrono a spiegare la diversa tempistica dell’azione della BCE rispetto a quella della FED.

Il primo riguarda la differente risposta data dalle politiche di bilancio attuate nei due paesi alla crisi pandemica. Gli interventi a sostegno di imprese e famiglie americane sono stati di vasta portata. Basti pensare che negli anni 2020 e 2021 il rapporto tra debito pubblico e PIL è cresciuto di quasi 25 punti percentuali, a fronte di un aumento medio di 15 punti nei paesi dell’area dell’euro.

Il sostegno ha avuto un effetto notevole sul reddito disponibile delle famiglie, che nel 2020 ha registrato un incremento del 6,2 per cento in termini reali, a fronte di un calo del PIL del 3,4 per cento. Nell’area dell’euro, invece, il reddito disponibile delle famiglie è diminuito dello 0,6 per cento e comunque in misura inferiore rispetto alla flessione del 6,4 per cento registrata dal prodotto.

Una seconda differenza concerne le condizioni del mercato del lavoro. Negli Stati Uniti il tasso di disoccupazione si ragguagliava in ottobre al 3,7 per cento, quasi 3 punti percentuali in meno rispetto all’area dell’euro. Di riflesso, la crescita dei salari supera, su base annua, il 5 per cento negli Stati Uniti, un livello molto più elevato rispetto a un obiettivo di inflazione del 2 per cento. Nell’area dell’euro, al contrario, la dinamica salariale è finora rimasta nel complesso moderata, essendo le retribuzioni contrattuali cresciute a ritmi prossimi al 2 per cento.

Si può quindi concludere che al momento non sembra che vi sia nell’area dell’euro un eccesso di domanda aggregata quale quello osservato invece negli Stati Uniti[17].

Quanto agli errori di previsione sulla crescita dei prezzi al consumo nell’area dell’euro, in effetti detti errori sono stati, nel 2022, molto maggiori che in passato. Va peraltro detto che l’invasione russa dell’Ucraina ha enormemente aggravato la carenza di forniture di gas e ha spinto i prezzi dei beni energetici su livelli straordinariamente elevati[18], rendendo particolarmente difficile formulare previsioni per l’inflazione[19].

La corsa al rialzo dei tassi non si è fermata nel 2022, ma è proseguita anche nel nuovo anno, sia pure a ritmi inferiori. Sulla scia della FED, che ha aumentato di 25 punti base il tasso sui federal funds, nella riunione del 2 febbraio scorso la BCE ha deciso di innalzare i tassi ufficiali di riferimento di 50 punti base, portando il loro incremento complessivo a 300 punti. Ha inoltre annunciato che, alla luce delle pressioni inflazionistiche di fondo, li aumenterà della stessa misura in marzo.

A suo giudizio, il mantenimento di condizioni monetarie particolarmente restrittive farà diminuire nel corso del tempo l’inflazione frenando la domanda e proteggerà, al contempo, dal rischio di un persistente incremento delle aspettative inflazionistiche.

La decisione di innalzare ulteriormente i tassi ufficiali di riferimento non configura l’avvio di una stretta monetaria, come sostenuto da alcuni osservatori, bensì una normalizzazione della politica monetaria che la BCE sta portando avanti insieme ad altre banche centrali, dopo una lunga fase di politiche iper-espansive.

* * *

Dalla primavera del 2021 l’inflazione è aumentata bruscamente in tutte le aree del mondo, alimentata dai rincari dell’energia e, in minore misura, dei prodotti alimentari. L’aumento dei prezzi al consumo, che aveva raggiunto un picco nell’area dell’euro nel novembre 2022 (al 10,1 per cento)[20], ha rallentato nel nuovo anno, collocandosi all’8,5 per cento in gennaio.

Nei primi mesi del 2022, a fronte di una crescita persistente dei prezzi al consumo, la BCE ha inasprito gradualmente le condizioni monetarie, “al fine di scongiurare effetti di secondo impatto quali il disancoraggio delle aspettative di inflazione o l’avvio di una spirale prezzi-salari”[21].

L’alto livello raggiunto dall’inflazione costituisce un onere per le famiglie, in ispecie quelle meno abbienti, e per le imprese. Le prime, perché sono costrette ad utilizzare una parte ragguardevole del loro reddito per l’acquisto di beni alimentari ed energetici; le seconde, perché vedono erodere la loro competitività.

Sondaggi d’opinione indicano che le famiglie e le imprese sono oggi molto preoccupate per l’incertezza del quadro geopolitico e per il rischio che, in futuro, i tassi continuino ancora a salire significativamente per favorire un ritorno tempestivo dell’inflazione all’obiettivo di medio termine della stabilità dei prezzi. Secondo il Governatore della Banca d’Italia[22], non vi sono motivi sufficienti per allarmarsi.

La situazione delle imprese, pur risentendo dei rincari energetici, del rallentamento dell’attività produttiva, dell’aumento dei tassi d’interesse e dell’inasprimento delle condizioni di accesso al credito, appare al momento abbastanza soddisfacente: la capacità di rimborso dei debiti resta alta, la redditività è migliorata, la leva finanziaria si è ridotta, le condizioni di liquidità sono complessivamente distese.

Anche i rischi per le famiglie si mantengono nel complesso circoscritti. La fissazione di un price cap nei nuovi contratti di mutuo contribuisce ad attenuare l’impatto dei rialzi dei tassi. Inoltre, l’ampia disponibilità di attività liquide appare in grado di sostenere la capacità delle famiglie di onorare gli impegni finanziari anche in uno scenario avverso caratterizzato da riduzioni del reddito reale e da incrementi dei tassi significativamente più elevati di quelli attesi.

Secondo i principali istituti finanziari privati (Goldman Sacks, JP Morgan, Morgan Stanley, BNP, ecc.), nel 2023 l’eurozona andrà in recessione (-0,2 per cento) principalmente a causa di un’inflazione ancora elevata (intorno al 6,5 per cento in media), in larga parte ascrivibile ai rincari energetici. Si prevede inoltre che la BCE continuerà ad innalzare i tassi anche nella seconda parte dell’anno, ma con la necessaria prudenza per evitare che bruschi e repentini rialzi possano innescare una recessione profonda[23].

 

Note:

[1]Gli acquisti di attività finanziarie e le operazioni di prestito a lungo termine rientrano nell’ambito delle politiche di allentamento quantitativo (c.d. quantitative easing, QE), il cui obiettivo operativo diventa la dimensione del bilancio della banca centrale. Ne consegue che la stance di politica monetaria, ossia il grado di restrizione o di espansione monetaria, non è più determinata dal livello dei tassi di interesse ufficiali, bensì dal volume delle operazioni di acquisto di titoli (pubblici e privati) sul mercato secondario e di prestito a lungo termine alle banche. Le ragioni alla base del passaggio dallo schema operativo basato sul governo dei tassi di interesse (interest rate steering) al QE sono due: il raggiungimento del limite inferiore per il tasso d’interesse di policy (zero lower bound) e la necessità di fornire agli intermediari la liquidità necessaria ad assicurare un flusso di credito sufficiente all’economia. Cfr.  Baglioni A., Le frontiere della politica monetaria, Hoepli.

[2] Un periodo troppo prolungato di bassa inflazione può avere implicazioni indesiderabili per l’economia: i) eserciterebbe un effetto negativo sulla domanda, a causa dell’incentivo a differire gli acquisti; ii) renderebbe più difficoltoso il riassorbimento degli squilibri esterni tra i paesi dell’area; e iii) rallenterebbe la riduzione dell’indebitamento pubblico e privato; iv) innalzerebbe il tasso di disoccupazione, in presenza di rigidità verso il basso dei salari nominali. Cfr. Banca d’Italia, Relazione annuale sul 2013.

[3] Gli acquisti di titoli pubblici e privati influenzano l’attività economica e l’inflazione attraverso diversi canali: i) il calo dei tassi di interesse a breve e dei rendimenti dei titoli oggetto dell’intervento della banca centrale determina un miglioramento delle condizioni di offerta del credito per famiglie e imprese (canale del credito); ii) la liquidità ricevuta in cambio dei titoli ceduti orienta le decisioni degli investitori verso attività più redditizie, che non hanno formato oggetto di acquisto da parte della banca centrale (canale del riequilibrio del portafoglio); iii) l’accresciuto valore della ricchezza delle famiglie, indotto dall’aumento dei prezzi delle attività finanziarie e di quelle reali, ha un effetto espansivo sui consumi (canale della ricchezza); iv) la riduzione delle attività finanziarie denominate in euro favorisce il deprezzamento del cambio che, oltre ad aumentare l’inflazione importata e le aspettative inflazionistiche, stimola le esportazioni (canale del tasso di cambio); v) l’annuncio di una espansione significativa delle dimensioni del bilancio dell’Eurosistema, segnalando al mercato la determinazione a garantire la stabilità dei prezzi, contribuisce a sostenere le aspettative di inflazione (canale delle aspettative di inflazione) e la fiducia del pubblico (canale della fiducia). Cfr. Cova P. e Ferrero G., Il programma di acquisto di attività finanziarie per fini di politica monetaria, Questioni di Economia e Finanza, Banca d’Italia, n. 270/2015.

[4]Tra il 2000 e il 2020 il totale dell’attivo è aumentato di 6.143 miliardi di euro (da 836 a 6.979 miliardi). La voce più significativa è rappresentata dai “Titoli detenuti per finalità di politica monetaria”, che a fine 2020 erano pari a 3.695 miliardi, il 52,9 per cento del totale.

[5] A marzo 2016 i tassi sulle operazioni di rifinanziamento principali e sulle operazioni di rifinanziamento marginale sono stati abbassati di 5 punti base (rispettivamente allo 0,0 e 0,25 per cento); quello sui depositi overnight è stato diminuito di 10 punti (a -0,40 per cento).

[6] In settembre è stato ridotto il tasso di interesse sui depositi overnight di dieci punti base, a -0,5 per cento.

[7] Banca d’Italia, Relazione annuale sul 2021.

[8] Banca d’Italia, Relazione annuale sul 2021, op. cit.

[9] All’inizio del 2019 la FED ha avviato il processo di revisione della sua strategia di politica monetaria, che si è conclusa nell’agosto 2020.Nella nuova strategia il target di inflazione, pari al 2 per cento, è definito come un obiettivo medio di lungo periodo, con la precisazione che, a seguito di un periodo in cui il tasso di inflazione si posizioni persistentemente al di sotto del 2 per cento, l’intervento della FED sarà orientato a riportare l’inflazione moderatamente al di sopra del 2 per cento per qualche tempo. In altri termini, la nuova strategia modifica l’obiettivo di inflazione dal livello puntuale del 2 per cento a una media (average inflation target) del 2 per cento nel tempo. Cfr. Baglioni A., L’uscita dalle politiche monetarie eccezionali e le implicazioni per il debito pubblico, in Osservatorio Monetario, n. 3/2021.

[10] Baglioni A., Le frontiere della politica monetaria, op. cit. Pezzuto A., La nuova strategia di politica monetaria della BCE, in www.tidona.com, 21.1.2022.

[11] Gli interventi possono essere estesi anche a titoli del settore privato.

[12] Banca d’Italia, Il Transmission Protection Instrument: il nuovo strumento della BCE per proteggere la trasmissione della politica monetaria, in Bollettino Economico, n. 4/2022.

[13] Il programma OMT prevede la possibilità che la BCE acquisti sul mercato secondario titoli governativi di un paese membro dell’area dell’euro che si trovi in difficoltà a rifinanziarsi direttamente sul mercato. Per poter accedere a questa forma di finanziamento, il paese interessato deve avere preventivamente concordato un programma di assistenza finanziaria con il Meccanismo europeo di stabilità (MES). Le operazioni della specie non sono state mai effettivamente attivate. Tuttavia, il loro annuncio è valso a mitigare le tensioni nei mercati e ad evitare una più forte contrazione del credito all’economia.

[14] Baglioni A., La normalizzazione della politica monetaria nell’area euro, in Osservatorio Monetario, n. 3/2022.

[15] Panetta F., Calibrare la politica monetaria in un contesto di alta volatilità, 3.11.2022.

[16]Galli G., Scinetti F., Scutifero N., I tassi d’interesse della BCE, confronti internazionali e con gli anni ’70, in osservatoriocpi.unicatt.it, 17.1.2023.

[17] Visco I., Inflazione e politica monetaria, 16.11.2022.

[18] I prezzi di gas ed elettricità sul mercato europeo sono cresciuti, rispettivamente, del 105 e del 75 per cento dai mesi prima dell’invasione e di circa il 650 e il 450 per cento dalla prima metà del 2021.

[19] BCE, Rapporto annuale sul 2021.

[20] Sull’inflazione complessiva ha influito per il 38 per cento quella dei beni energetici.

[21] Panetta F., La politica monetaria all’indomani dello shock energetico, 16.2.2023.

[22] Visco I., Intervento al 29° Congresso ASSIOM FOREX, 4.2.2023.

[23] Ciotti L. e Garlaschi M., Le previsioni macroeconomiche per il 2023, in osservatoriocpi.unicatt.it, 26.1.2023



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