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Cassazione Civile, sez. I, sent. n. 10117 del 16/4/2021
NORMA DI RIFERIMENTO:
Art. 1853 (Compensazione tra i saldi di più rapporti o più conti):
“[I]. Se tra la banca e il correntista esistono più rapporti o più conti, ancorché in monete differenti, i saldi attivi e passivi si compensano reciprocamente, salvo patto contrario”
MASSIMA ESTRATTA:
“Il tema della inattuabilità della compensazione ex art. 1853 c.c., in caso di apertura di credito è stato già scrutinato da questa Corte. È stato osservato, difatti, che tale norma prevede la compensazione ex lege solo tra i saldi passivi di un rapporto di conto corrente ed i saldi attivi di altri rapporti o conti del cliente con la medesima banca, e non anche la compensazione tra il saldo passivo di un conto e la costituzione di una corrispondente passività per apertura di credito in altro conto dello stesso cliente (Cass. 9 novembre 1994, n. 9307); si è difatti precisato che l’apertura di credito non implica, con riferimento all’epoca della sua stipulazione, un saldo, configurabile soltanto alla chiusura del corrispondente conto od alle cadenze all’uopo pattuite, e non può comunque segnare un saldo attivo, suscettibile di compensazione con i saldi passivi, tenendosi conto che “la disponibilità di denaro creata in favore dell’accreditato non comporta la costituzione di un credito pecuniario dello stesso verso la banca, ma soltanto la facoltà dell’uno di rendersi debitore dell’altra, se ed in quanto utilizzi la disponibilità medesima” (Cass. 22 marzo 1994, n. 2742, in motivazione)”.
MOTIVAZIONE:
4.2. – Il motivo appare fondato.
L’apertura di credito è “il contratto con cui la banca si obbliga a tenere a disposizione dell’altra parte una somma di denaro per un dato periodo di tempo o a tempo indeterminato” (art. 1842 c.c.). In concreto, l’apertura di credito è diretta a conferire al cliente della banca la possibilità di disporre di somme non giacenti sul proprio conto corrente: con essa, dunque, la banca assume l’obbligo di eseguire operazioni di credito bancario passive (Cass. 23 aprile 1996, n. 3842; Cass. 5 dicembre 1992, n. 12947; Cass. 11 marzo 1992, n. 2915).
Come si desume dalla norma sopra richiamata, il contratto di apertura di credito conferisce all’interessato non già una somma di denaro, ma una mera disponibilità finanziaria. Il punto è registrato da tempo dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, appunto, nel contratto di apertura di credito bancario, “la proprietà della somma messa a disposizione resta all’istituto bancario fino a quando l’accreditato non faccia uso del concessogli diritto di disporre del credito” (Cass. 13 dicembre 1969, n. 3956; cfr. pure Cass. 12 gennaio 1968, n. 74). Si è infatti precisato che nel contratto d’apertura di credito bancario “la semplice annotazione in conto corrente della somma messa a disposizione del cliente non concretizza quella tradizione simbolica, idonea e sufficiente a realizzare l’estremo della consegna”, tant’è che il rapporto obbligatorio in ragione del quale può l’accreditante dirsi creditore dell’accreditato, sorge soltanto nel momento ed a causa del prelievo della somma messa a disposizione (Cass. 12 giugno 1973, n. 1688; Cass. 9 settembre 2004, n. 18182).
Ne discende, allora, che il diritto di cui il somministrato acquisisce la titolarità con la conclusione del contratto non possa qualificarsi come credito liquido ed esigibile. In capo alla banca non si configura alcuna obbligazione, che sia determinata nell’ammontare e che possa dirsi scaduta, fino a quando l’accreditato non abbia manifestato la volontà di utilizzare, in tutto in parte, la somma di cui ha acquistato il diritto di disporre.
Ciò, come osservato in dottrina, ha delle precise ricadute sul piano degli effetti giuridici. Poichè, infatti, il credito del correntista non è nè liquido nè esigibile prima della manifestata volontà di concreta utilizzazione della somma, deve escludersi – ad esempio – che fino a quel momento detta somma sia produttiva di interessi. Soprattutto, la richiamata condizione di illiquidità ed inesigibilità del credito impedisce che, a fronte della semplice conclusione del contratto, possa attuarsi alcuna compensazione tra detto credito e altro ipotetico credito vantato dalla banca nei confronti del proprio cliente. Risulta in particolare preclusa l’operatività dell’art. 1853 c.c.: norma che, come rimarcato di recente da questa Corte (Cass. 4 luglio 2019, n. 17914), prevede una compensazione tecnica e legale.
Il tema della inattuabilità della compensazione ex art. 1853 c.c., in caso di apertura di credito è stato già scrutinato da questa Corte. E’ stato osservato, difatti, che tale norma prevede la compensazione ex lege solo tra i saldi passivi di un rapporto di conto corrente ed i saldi attivi di altri rapporti o conti del cliente con la medesima banca, e non anche la compensazione tra il saldo passivo di un conto e la costituzione di una corrispondente passività per apertura di credito in altro conto dello stesso cliente (Cass. 9 novembre 1994, n. 9307); si è difatti precisato che l’apertura di credito non implica, con riferimento all’epoca della sua stipulazione, un saldo, configurabile soltanto alla chiusura del corrispondente conto od alle cadenze all’uopo pattuite, e non può comunque segnare un saldo attivo, suscettibile di compensazione con i saldi passivi, tenendosi conto che “la disponibilità di denaro creata in favore dell’accreditato non comporta la costituzione di un credito pecuniario dello stesso verso la banca, ma soltanto la facoltà dell’uno di rendersi debitore dell’altra, se ed in quanto utilizzi la disponibilità medesima” (Cass. 22 marzo 1994, n. 2742, in motivazione).
In conclusione, dunque, la compensazione posta in essere dalla banca, che ha trasferito il debito pregresso di L. sul conto assistito dall’apertura di credito – a garanzia della quale era stata prestata la garanzia ipotecaria – non poteva ritenersi consentita (fermo restando, ovviamente, il persistere della posizione debitoria maturata sui conti correnti accesi in precedenza, e transitata sul conto n. (OMISSIS)).
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