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21 Ottobre 2021 In Diritto bancario Tidona

Origini e sviluppo della bancassicurance in Italia



© Tutti i diritti riservati. Vietata la ripubblicazione cartacea ed in internet senza autorizzazione. È consentito il link diretto a questo documento.

Di Antonio Pezzuto, ex Dirigente della Banca d’Italia 

 

L’ingresso delle banche nel settore assicurativo in Italia è un fenomeno che nasce alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, sulla spinta di due fattori: il processo di deregulation dell‘industria finanziaria e la discesa dei tassi d’interesse, a cui se ne sono aggiunti, più recentemente, altri due, una più rigorosa regolamentazione sul capitale prudenziale e la crescente concorrenza degli intermediari non bancari.

Nel tempo sono aumentati, sia gli accordi commerciali per il collocamento di prodotti assicurativi tramite la rete distributiva degli operatori bancari, sia le partecipazioni delle banche nel capitale delle compagnie assicurative. Questo tipo di cooperazione tra attività bancaria e assicurativa, denominata bancassicurance[1] (o bankinsurance), è oggi rilevante nel nostro Paese, considerato che oltre il 40 per cento dei prodotti assicurativi del ramo vita sono venduti attraverso il canale bancario[2]. Si può quindi affermare che la bancassicurazione è anche in Italia, come in molti altri paesi europei[3], il principale modello distributivo delle polizze assicurative.

La cooperazione tra banche e compagnie di assicurazioni presenta benefici e rischi per entrambi gli intermediari. Per le banche la distribuzione di prodotti assicurativi attraverso la rete territoriale rappresenta vantaggi in termini di diversificazione delle fonti di ricavo in un contesto di bassi tassi d’interesse[4], di utilizzo di strutture e di personale già esistente per ampliare la gamma dei prodotti offerti all’utenza, di accesso a un esteso patrimonio informativo per meglio definire l’offerta di polizze assicurative.

La collaborazione con una banca può consentire alle compagnie di realizzare economie di scala e di scopo nella distribuzione delle polizze sfruttando il canale bancario e di raggiungere nuovi segmenti di mercato e nuove fasce di clientela utilizzando il patrimonio informativo sulle condizioni economiche e finanziarie dei clienti.

Non vanno tuttavia trascurati i rischi per entrambe le parti legati a una maggiore complessità organizzativa, a possibili fenomeni di contagio finanziario, all’opacità della collaborazione per regolatori e investitori. Per le banche un’ulteriore fonte di rischio è rappresentata dai danni di natura reputazionale derivanti dall’insorgere di potenziali contenziosi con la clientela nella fase di liquidazione dei sinistri.

Nel mercato si sono sviluppati diversi modelli di cooperazione tra banche e assicurazioni che differiscono in funzione di numerosi fattori, tra cui la durata dell’accordo distributivo, il tipo di legame partecipativo tra i soggetti coinvolti e le modalità di remunerazione dell’attività distributiva dei prodotti assicurativi. Le differenti tipologie di partnership possono ricondursi a tre macro-tipologie:

  • accordo commerciale tra i due intermediari;
  • joint venture con la partecipazione di banca e assicurazione in una nuova entità giuridica;
  • acquisizione di una partecipazione azionaria da parte della banca nella compagnia di assicurazione.

L’accordo commerciale prevede che la banca venda i prodotti assicurativi attraverso la propria rete di sportelli, in cambio di una commissione che viene corrisposta all’atto dell’emissione della polizza, definita “commissione di acquisizione”[5]. In questo modello di business, banca e compagnia di assicurazione sono due entità distinte: da una parte la banca distribuisce contratti assicurativi standardizzati, che non richiedono un’attività di consulenza da parte di risorse altamente qualificate, dall’altra la compagnia che, non potendo contare su un rapporto diretto con il cliente assicurato, è esposta al rischio che la banca possa favorire il riscatto anticipato delle polizze vita con lo scopo di sostituirle con prodotti di  natura bancaria.

Il ricorso a tale forma di integrazione si è affermata allorquando la normativa non consentiva forme di partecipazione azionaria. Ancora oggi, tuttavia, rappresenta la modalità di ingresso adottata nelle prime fasi di sviluppo della bancassicurance nonché quella preferita da banche di ridotte dimensioni che non sarebbero in grado di sviluppare al proprio interno le professionalità e i prodotti necessari per avviare autonomamente l’attività assicurativa.

La costituzione di una joint venture tra una banca e un’impresa di assicurazione è finalizzata alla creazione di una nuova compagnia assicurativa, i cui prodotti sono distribuiti tramite gli sportelli dell’intermediario bancario, oppure mediante la nascita di un gruppo misto bancario-assicurativo, dove la componente dominante è quella bancaria. Nel primo caso, gli intermediari esercitano il controllo congiunto della nuova entità giuridica condividendone i profitti. Nel caso della creazione di un gruppo misto, invece, l’intermediario che detiene la quota di controllo del capitale ha la possibilità di definire la strategia di offerta presso la clientela assicurativa beneficiando dei profitti generati dall’altro.

Le joint ventures tra banche e compagnie di assicurazione sono una forma di cooperazione più duratura, preferita nel momento in cui l’obiettivo è quello di rafforzare e consolidare i rapporti esistenti tra i soggetti coinvolti nell’operazione.

A differenza di un accordo commerciale, l’acquisizione di una partecipazione azionaria, di maggioranza o minoritari, comporta un assorbimento di capitale regolamentare.

Le recenti riforme della normativa prudenziale (Basilea III e Solvency II) hanno modificato la convenienza relativa delle diverse modalità di partnership. Da un lato, le banche hanno mostrato una preferenza per la costituzione di una joint venture rispetto al controllo diretto della compagnia, beneficiando così di una riduzione dell’assorbimento di capitale. Dall’altro, in seguito all’introduzione di (Solvency II), per le compagnie la partecipazione a una joint venture è divenuta più onerosa in termini di requisiti patrimoniali, anche perché il premio riconosciuto alla banca al momento della sottoscrizione dell’accordo (c.d. embedded value)[6] non è incluso nel capitale regolamentare.

In definitiva, sembra di poter affermare che la scelta di un idoneo modello di bancassicurance dipende da molteplici fattori, tra cui il contesto esterno e normativo di riferimento, le specifiche esigenze di business dei soggetti coinvolti e la strategia di crescita, per via interna o esterna, che si intende perseguire. Non esiste quindi in assoluto un unico modello adatto a tutti. In genere, un modello più integrato amplierà lo spettro d’azione consentendo di comprimere i costi e di migliorare l’efficienza operativa.

Quali sono le dimensioni del fenomeno bancassicurance in Italia?

Alla fine del 2019 le banche italiane che partecipavano al capitale di una o più compagnie assicurative italiane erano 29. Di queste, 17 detenevano una quota di interessenza inferiore al 10 per cento, 7 una quota tra il 10 e il 50 per cento, 5 una quota superiore al 50 per cento.

Nel 2019 le banche erano presenti nella compagine sociale di 35 delle 101 compagnie vigilate dall’IVASS. In particolare, in 12 compagnie le banche detenevano una partecipazione inferiore al 30 per cento, in 15 una partecipazione tra il 30 e il 50 per cento, in 8 una partecipazione superiore al 50 per cento.

La quota della raccolta premi complessiva annuale facente capo alle 8 compagnie controllate dal settore bancario era pari al 13 per cento.

Rispetto ai modelli organizzativi sopra descritti, le 22 compagnie in cui le banche detengono oltre il 30 per cento del capitale si ripartivano come segue:

  • 8 joint ventures;
  • 8 compagnie facenti parte di gruppi bancari;
  • 7 compagnie con una partecipazione azionaria inferiore al 50 per cento.

Le partecipazioni degli intermediari assicurativi nel capitale delle banche italiane sono, invece, poco significative, ove si consideri che alla fine del 2019 esse riguardavano appena 11 compagnie e solo in un caso l’interessenza era superiore al 40 per cento.

Negli ultimi 15 anni la partecipazione media ha avuto un andamento ondivago: in discesa (dal 24 al 15 per cento) tra il 2005 e il 2011 e in aumento negli anni successivi fino a raggiungere il 21 per cento nel 2019.

Quanto alla distribuzione bancaria dei prodotti assicurativi, va detto che nel 2019 circa il 35 per cento dei premi delle compagnie assicurative italiane, per un importo pari a 49 miliardi di euro, era riferibile al canale bancario[7]. Nei rami vita, tale quota aumenta al 43,9 per cento, mentre nei rami danni si commisura soltanto al 6,9 per cento della raccolta.

Tra il 2005 e il 2019 il valore dei premi raccolti attraverso gli sportelli bancari è aumentato sia nei rami vita (da 39 a 47 miliardi) sia nei rami danni (da 0,5 a 2,4 miliardi). Nei primi sette anni del periodo di riferimento la quota dei premi del ramo vita ha registrato un calo di 16 punti percentuali, dal 50 al 34 per cento, imputabile principalmente alla crisi del debito sovrano. Negli anni successivi, tale quota è costantemente aumentata attestandosi a circa il 45 per cento alla fine del 2019. La quota dei premi dei rami danni raccolta tramite il canale bancario è invece progressivamente cresciuta, passando dall’1 al 7 per cento.

In conclusione, sembra di poter affermare che in Italia il livello di integrazione tra banche e compagnie di assicurazione è significativo, come attestato sia dalla elevata quota di raccolta effettuata per il tramite degli sportelli bancari sia dal fatto che alle compagnie partecipate è riconducibile il 40 per cento della raccolta premi. Sono invece poco rilevanti le partecipazioni delle compagnie nel capitale delle banche e riguarda un numero limitato di casi.

Negli ultimi 15 anni la partecipazione media delle banche nel capitale delle compagnie, pur registrando un andamento altalenante, ha superato nel 2019 la soglia del 20 per cento.

Tra il 2005 e il 2019 la raccolta premi effettuata tramite il canale bancario è aumentata sia nei rami vita sia nei rami danni.

 

Riferimenti bibliografici

ANIA, Relazione annuale 2018-2019

Cesari R., Bankinsurance: caratteristiche e risultati, Venezia, 17.9.2021

Coviello A., Il ruolo della bancassicurazione nella distribuzione delle polizze assicurative, in Rivista di diritto, economia e finanza delle assicurazioni, n. 2/2010

De Polis S., Evoluzione dei modelli di partnership tra banche e assicurazioni, Roma, 3.10.2018

IVASS, Le relazioni tra banche e assicurazioni in Italia, Quaderno n. 18/2021

 

Note:

[1] Il termine è apparso per la prima volta in Francia dopo il 1980 per definire la vendita di prodotti assicurativi tramite sportelli bancari.

[2] Le origini della bancassicurance in Italia possono farsi risalire ai primi anni Novanta, allorquando il Monte dei Paschi di Siena cominciò a operare nel settore con la propria compagnia Ticino, con l’obiettivo di fidelizzare il più possibile la propria clientela.

[3] Nel nostro Paese il canale bancario-postale raccoglie quasi il 70 per cento dei premi, percentuale analoga a quella di Francia e Spagna. In Germania e nel Regno Unito lo sviluppo della bancassicurazione ha registrato una crescita più moderata.

[4] Per il gruppo ICCREA, l’ammontare delle commissioni prodotte dalla gestione assicurativa rappresentavano nel 2020 il 6,9 per cento del totale delle commissioni attive.

[5] Oltre a questa provvigione, la banca potrebbe percepire anche una “commissione di mantenimento”, riconosciuta fino alla scadenza del contratto assicurativo o in caso di riscatto anticipato del capitale.

[6] L’EV è dato dalla somma del valore del portafoglio, cioè il valore di tutte le attività assicurative in essere calcolate con l’attualizzazione dei flussi futuri di profitto generati da ogni polizza, e il free surplus che è la quota di capitale proprio non impegnata in attività assicurative. L’EV consente di valutare il valore economico creato dalle singole unità di business e attività assicurativa, gli effetti di lungo periodo delle decisioni prese e l’influenza di fattori esterni (inflazione, tassi, ecc.).

[7] Nel 2020, anche per effetto della pandemia, tale percentuale è scesa al 33,6 per cento, per un importo pari a 45,2 miliardi.



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